Spesa pubblica, nel 2021 superati i mille miliardi di euro. Cgia: «E nel 2022 si rischia altro aumento»»
Quest’anno la spesa pubblica italiana “sfonda” quota mille miliardi di euro. Per tenere aperti gli uffici, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, le pensioni e per erogare i servizi di natura pubblica (sanità, sicurezza, scuola, trasporti, etc.), lo Stato spende per gli italiani quasi 3 miliardi di euro al giorno. A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA di Mestre (VE).
Una cifra gigantesca che, come era prevedibile, è aumentata anche a seguito delle importanti misure messe in campo per il 2021 dai Governi Conte bis e Draghi. Provvedimenti che si sono resi indispensabili per fronteggiare gli effetti negativi imposti dalla crisi pandemica. Rispetto al 2020, infatti, quest’anno le uscite complessive dello Stato sono aumentate di oltre 56 miliardi di euro (154,2 milioni al giorno in più rispetto al 2020). Intendiamoci, una spesa pubblica importante, per mitigare gli effetti di una crisi economica e sociale mai vissuta negli ultimi 75 anni, non costituisce un problema, anzi. Nel momento della difficoltà nessuno può essere lasciato indietro e lo Stato ha l’obbligo di mettere in campo tutte le misure necessarie per tutelare soprattutto le fasce sociali più deboli.
Quest’anno spesa pubblica pari a 4 PNRR insieme
I mille miliardi di spesa pubblica che usciranno nel 2021 dalle casse pubbliche sono un importo di oltre 4 volte superiore a quanto saremo chiamati a spendere nei prossimi 5 anni con i soldi messi a disposizione dal PNRR che, lo ricordiamo, ammontano a circa 235 miliardi di euro. La spesa pubblica nel 2021, spiega CGIA Mestre, viene utilizzata per quasi 900 miliardi solamente al fine di pagare gli stipendi e far funzionare la macchina pubblica. E, visto anche «l’assalto alla dirigenza» a cui abbiamo potuto assistere in Parlamento con la presentazione di migliaia e migliaia di emendamenti alla legge di Bilancio, secondo CGIA il rischio che nel 2022 la spesa pubblica superi abbondantemente i mille miliardi di quest’anno è molto plausibile.
Intendiamoci: nessuno mette in discussione l’importanza e l’utilità delle risorse straordinarie che saremo chiamati ad investire nei prossimi anni. Ci mancherebbe. Tuttavia, vorremmo che il dibattito che si è aperto in questi ultimi mesi sulla necessità di spendere presto e bene queste risorse europee fosse sempre vivo. Una spesa, quella pubblica, che per quasi 900 miliardi è di parte corrente e viene utilizzata, in particolar modo, per liquidare gli stipendi dei dipendenti del pubblico impiego, per consentire i consumi della macchina pubblica e per pagare le prestazioni sociali. L’assalto alla diligenza che abbiamo assistito in questi giorni in Parlamento con la presentazione di migliaia e migliaia di emendamenti alla legge di Bilancio, non lascia presagire nulla di buono. Il pericolo che nel 2022 la spesa pubblica superi abbondantemente i mille miliardi toccati quest’anno è molto plausibile.
Meno tasse solo con tagli strutturali alla spesa pubblica
Nei prossimi anni il problema sarà quello di ridurre progressivamente le uscite per consentire al Governo di reperire le risorse necessarie per realizzare, in particolar modo, una strutturale e significativa riduzione del carico fiscale su famiglie e imprese. Con un rapporto debito/Pil che si aggira attorno al 154 per cento, questa riforma non potrà essere finanziata in deficit. Anche perché l’UE, molto probabilmente, non ce lo permetterebbe; alla luce del fatto che le disposizioni del Patto di Stabilità, che comunque dovrà essere revisionato, dovrebbero tornare operative dal 2023. «Ovviamente, – segnalano dalla CGIA – grazie anche alle risorse messe in campo dal PNRR, nei prossimi anni sarà necessario produrre più ricchezza e lavoro. Solo così riusciremo ad aumentare significativamente la platea degli occupati che ci consentirà di spendere meno per sussidi, bonus, contributi a fondo perduto ed integrazioni al reddito. Non solo: potremmo altresì beneficiare di maggiori entrate fiscali, grazie al versamento di nuova Irpef e di ulteriori contributi previdenziali.»
Le politiche espansive spingono all’insù l’inflazione
Il forte aumento dell’inflazione registrato in questi ultimi mesi è sicuramente imputabile all’incremento dei prezzi delle materie prime (gas e petrolio in primis) ma, anche, dalle politiche espansive adottate dai singoli stati nazionali e dalla BCE. Tuttavia, sebbene nel biennio 2017-2018 la Banca Centrale Europea fosse arrivata ad acquistare fino a 80 miliardi di euro al mese di titoli di stato pubblici, ora ne acquista circa 15 al mese. Alla fine dello scorso ottobre con il Programma di acquisto dei titoli del Settore Pubblico (PSPP), la BCE ne ha cumulati 2.603 miliardi, di cui 433 miliardi di titoli italiani (16,7 per cento del totale). In altre parole è stata realizzata una grandiosa iniezione di liquidità nel sistema economico europeo che non ha precedenti. Alla luce di ciò, è evidente che se le banche centrali vorranno “raffreddare” il caro prezzi, molto probabilmente dovranno ridurre l’iniezione di liquidità immessa in questi ultimi anni. Per un Paese come l’Italia che ha un debito pubblico gigantesco, questo scenario rischia di peggiorare ulteriormente il nostro quadro finanziario.
Tra le uscite spiccano le pensioni: deficit a 167,7 miliardi
Secondo la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2021, la voce di spesa corrente più significativa che registriamo quest’anno nel nostro Paese è quella pensionistica che ammonta a 287,6 miliardi di euro. Seguono i redditi da lavoro dipendente con 179,4 miliardi, i consumi intermedi con 161,9 miliardi, le altre prestazioni sociali con 116,3 miliardi e le altre spese correnti con 87,6 miliardi. Includendo anche gli interessi sul debito pubblico (pari a 60,5 miliardi), il totale spese correnti ammonta a 893,4 miliardi, di cui 129,4 per la spesa sanitaria. Se aggiungiamo anche le spese in conto capitale (ovvero gli investimenti), che per l’anno in corso sono pari a 107,3 miliardi, la spesa finale ammonta a 1.000,7 miliardi. Per contro, le entrate totali quest’anno raggiungeranno quota 832,9 miliardi: pertanto l’indebitamento netto si attesta a -167,6 miliardi di euro (-9,4 per cento del Pil).