É crisi per la pesca veneta: persi duecento pescherecci in dieci anni

É allarme per la pesca veneta, persi duecento pescherecci in dieci anni: la flotta veneta da 780 imbarcazioni nel 2010 ne conta circa 600 attualmente, è SOS pesce italiano per l’impatto devastante registrato uno dei settore cardine del Made in Italy a causa della pandemia.

E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti Impresa pesca diffusa in occasione della «Giornata mondiale degli Oceani» con cambiamento climatico che colpito alcuni dei più importanti ecosistemi marini con conseguenze su pesca e turismo e sul consumo di pesce, elemento essenziale della dieta mediterranea.

Le specie non comuni pericolose per le coste adriatiche

«Con i cambiamenti climatici sono apparse nuove specie non comuni nel Mediterraneo come nell’Adriatico e stanno diventando rare specie fino a ieri tipici dei nostri mari – afferma Alessandro Faccioli di Coldiretti Impresa Pesca Veneto –  Pesci, come ad esempio le alacce o la lampuga, sino a qualche anno fa scarsamente presenti a certe latitudini, sono oggi diffusamente presenti nelle acque del centro-nord del Mare Adriatico e del Tirreno, mentre sono andate in sofferenza specie tradizionali come le sardine o le alici, messe in crisi dall’innalzamento delle temperature».

«Le correnti calde hanno favorito la proliferazione di meduse dai nomi stravaganti come “occhio di gatto” e “noce di Mare”  che cacciano attivamente larve di pesci e molluschi e novellame di specie di interesse economico, oltre a granchi predatori come il granchio blu sempre più presenti anche nelle lagune. Gli esemplari di Callinectes Sapidus (nome scientifico del vorace granchio) aumentano – hanno affermato i pescatori – tanto da insidiare anche le moeche veneziane. Una specie invasiva dove grazie al surriscaldamento globale ha trovato il suo habitat ideale».

Trasportato dalle grandi navi che solcano gli oceani si riproduce in fretta – una femmina dicono i ricercatore depone milioni di uova – e non ha predatori che lo contrastano. Vive indisturbato divorando gamberi, latterini, seppie, spigole e orate. I danni sono rilevanti anche per l’attività degli operatori del settore: le chele come tenaglie strappano le reti danneggia i letti di alghe che servono da vivai per i pesci locali, divora le cozze e le lumache che costituiscono il loro cibo e ingoia i giovani più facili da catturare.

Allarme pesca veneta: il calo dei consumi e le normative UE

A peggiorare ulteriormente la situazione ha contribuito la pandemia con il crollo di oltre il 30% degli acquisti di pesce da parte della ristorazione dall’inizio dell’emergenza sanitaria, peraltro reso più pesante dalle chiusure di aprile. Il risultato è un crack da 500 milioni di euro tra produzione invenduta, crollo dei prezzi e chiusura dei ristoranti. Senza dimenticare l’aggravio di costi per garantire il rispetto delle misure di distanziamento e sicurezza a bordo delle imbarcazioni, con i pescatori che hanno continuato a uscire in mare per assicurare le forniture di pesce fresco ai consumatori.

Un calo che non è stato compensato dall’aumento degli acquisti domestici del 6,7%, secondo un’analisi Coldiretti su dati Ismea relativi all’anno 2020. Ad essere premiati sono stati soprattutto i consumi di prodotto surgelato, cresciuti del 17,6% rispetto al +2,3% del pesce fresco, inferiore anche rispetto alle conserve (tonno ecc.) in salita del 5,8% e a quelli essiccati o affumicati, che guadagnano un +11,1%. Peraltro proprio il prodotto surgelato è quello che dà minori garanzie rispetto all’origine, considerato che in 9 casi su 10 arriva dall’estero.

Alla difficoltà economiche aggravate dalla pandemia si aggiungono quelle legate alla drastica riduzione dell’attività di pesca imposte dalla dalle normative europee e nazionali. Le giornate di effettiva operatività a mare sono scese per alcuni segmenti di flotta a poco meno di 140 di media all’anno, rendendo non più sostenibile l’attività di pesca per una buona fetta della flotta nazionale considerata anche l’assenza di ammortizzatori e di valide politiche di mercato capaci di compensare le interruzioni.  Il consumo pro capite degli italiani è di circa 28 kg di pesce all’anno, superiore alla media europea ma decisamente basso se confrontato con quello di altri Paesi che hanno un’estensione della costa simile, come ad esempio il Portogallo, dove se ne mangiano quasi 60 kg, praticamente il doppio.

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