Coronavirus, Pa-Tre-Ve zona arancione: «A rischio il 5% del Pil nazionale»
Dalle province di Venezia, Padova e Treviso, oltre che dalla Lombardia e da altre otto province di Emilia, Marche, Piemonte, si potrà entrare o uscire solo per “gravi e indifferibili motivi”. Le restrizioni scattate ieri domenica 8 marzo, resteranno in vigore fino al 3 aprile. Chi non rispetti i limiti agli spostamenti e le nuove misure può essere punito con l’arresto fino a 3 mesi e fino 206 euro di ammenda. Questa la decisione del governo che ha già scatenato polemiche e critiche soprattutto in Veneto.
«Noi veneti non ci siamo mai tirati indietro, io non mi sono mai permesso di dissentire, anche se c’erano misure che a volte avrei fatto in un’altra maniera. Ma questo decreto per un’interpretazione ha bisogno minimo di una circolare attuativa. Tutto magari ha una ratio, ma per noi veneti, in questo momento no», ha detto il presidente della Regione Luca Zaia sul nuovo decreto sul Coronavirus. Basandosi sulla relazione del Comitato tecnico-scientifico nato per supportare l’Unità di crisi della protezione civile del Veneto Zaia si è detto convinto che il contagio da Coronavirus sul territorio veneto sia sì in crescita, ma localizzato e, tutto sommato, sotto controllo.
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Sulle conseguenze economiche della chiusura totale di tre delle province più produttive del Paese si è invece espresso Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre. «Estendere la zona rossa a tutta la Pa.Tre. Ve.? Una decisione spropositata che rischia di bloccare una parte importante dell’economia del Paese. Queste 3 province, infatti, generano il 5 per cento del Pil e dell’occupazione nazionale e il 6 per cento di tutte le merci esportate dal nostro Paese. A differenza di quanto sta succedendo in alcune province della Lombardia, da noi non c’è alcuna emergenza sanitaria, la situazione rimane seria e difficile, ma del tutto sotto controllo».
Andrea Fasulo