Caribe Bay senza addetti. Donazzan: «Colpa del reddito di cittadinanza»
«Ciò che viene segnalato dalla struttura turistica è grave e purtroppo era tra le preoccupazioni che fin da subito avevo sollevato. Ovvero che il reddito di cittadinanza fosse sfruttato per restare a casa, per percepire solamente l’indennità». Questa la reazione dell’assessore regionale al lavoro, Elena Donazzan, alla denuncia del titolare del parco acquatico Caribe Bay di Jesolo, che con i suoi 220 dipendenti rappresenta la struttura turistica più grande del centro balneare veneto, in difficoltà nel trovare personale per la stagione in corso. A differenza degli altri anni la struttura turistica non riesce a reperire stagionali neanche tra i giovani in cerca di prima occupazione. Luciano Pareschi, il titolare, ha parlato di almeno 50 posti che non riesce a coprire.
«Farò monitorare tutte le proposte pervenute e a chi, per capire le ragioni di un rifiuto – dichiara l’assessore – Purtroppo il sistema informativo creato e utilizzato da Anpal non è ancora a regime, pertanto non conosciamo ancora il rapporto che intercorre tra l‘erogazione dell’assegno del reddito di cittadinanza e l’offerta di opportunità lavorative. Questo è al momento attuale un limite del reddito di cittadinanza, che le Regioni stanno osservando e rispetto al quale intendono intervenire».
«Di fronte ad un posto di lavoro, solo per gravi ragioni, si può opporre un rifiuto – prosegue Donazzan – L’impegno delle nostre strutture e dei servizi per il lavoro in Veneto è storicamente quello di trovare lavoro per le persone disoccupate e di aiutare le aziende a restare a produrre in Veneto, trovando risposte alle loro esigenze lavorative. Il Veneto è regione turistica e ha bisogno come l’ossigeno di lavoratori. Certo, si tratta di occupazioni stagionali, ma sempre di lavoro si tratta. Non si può opporre un rifiuto perché è più conveniente restare a casa: guai a quelli che preferiscono restare a casa nonostante le offerte di lavoro, è un’offesa all’intera comunità e al bilancio dello Stato».