Reti da pesca riciclate e merende green: responsabilità sociale a Venezia

C’è la cooperativa sociale che riutilizza le reti da pesca che inquinano il mare per creare borse e oggetti, quella dei pescatori che hanno introdotto la tracciabilità del pescato, l’azienda che commercializza distributori automatici di merendine salutari e equo-solidali, i panifici che puntano sul valore ambientale e sociale per fidelizzare i clienti. È vivace e variegato il panorama veneziano della responsabilità sociale d’impresa che emerge dalla ricerca che l’Università Ca’ Foscari di Venezia e l’Università di Padova stanno conducendo nell’ambito del progetto di ricerca “Capitale sociale e comunità di valore nel Veneziano” finanziato dal progetto Responsabilmente DGR 948/16 della Regione Veneto. Il progetto ha come titolare IVL – Istituto Veneto per il Lavoro, organizzazione regionale della Confartigianato del Veneto, capofila di una composita compagine di enti di formazione che fanno capo alle principali associazioni di categoria e di rappresentanza delle realtà del mondo dell’artigianato, dell’industria, del commercio e della cooperazione sociale del Veneziano.

L’appello alle aziende

Sono 35 le imprese intervistate fino ad ora dalle due ricercatrici impegnate sul campo, Silvia Panfilo di Ca’ Foscari e Silvia Cavallarin dell’Università di Padova. Un lavoro d’indagine che ora continua: l’obiettivo è totalizzarne almeno 100 entro il mese di luglio.

Di qui l’appello alle aziende che vogliano misurare il loro grado di responsabilità sociale. In cambio viene offerto un check up gratuito sulle strategie e la compilazione di un questionario ministeriale utile per partecipare ai bandi europei.

Le aziende interessate possono contattare le ricercatrici alle seguenti email: silvia.cavallarin@libero.it e silvia.panfilo@unive.it.

Merende responsabili a Noale, nido bilingue a San Donà

«Il quadro che emerge è che la sostenibilità sociale di impresa, spesso non consapevole, si dimostra nel territorio veneziano orientata a innovazioni di prodotto e processo, in aggiunta a politiche di flessibilità e conciliazione vita-lavoro attuate per i dipendenti» racconta la ricercatrice Silvia Panfilo, che lavora sotto il coordinamento della professoressa Chiara Mio, del professor Carlo Bagnoli e del professor Stefano Campostrini.

Tra gli esempi d’eccellenza emersi finora c’è il caso di Scattolin Distribuzione Automatica di Noale, azienda che si occupa dei distributori automatici di cibi e bevande e che ha attivato ormai da qualche anno due iniziative legate al ‘green break’ e alla ‘pausa responsabile’. Attività che conciliano temi legati all’ambiente, prodotti come merendine fatte con materie prime salutari e di alta qualità e prodotti equo-solidali.

Altro caso che emerge è quello della Cooperativa Il portico di San Donà di Piave che per prima ha instaurato un nido bilingue (italiano/inglese) con il coinvolgimento del British Institute, in cui personale madrelingua interagisce nell’attività quotidiana dei bambini. La cooperativa inoltre sta preparando la certificazione family-friendly per ottenere il riconoscimento delle politiche di conciliazione lavoro-famiglia che caratterizzano le sue attività.

«Un trend interessante – racconta ancora Silvia Panfilo – è inoltre quello attuato da diversi panificatori nella provincia di Venezia che hanno deciso di partecipare al progetto: Panificio Massimo Gorghetto, Spiga d’oro dei f.lli Sarto, Panifico alla Torre di Stefanato Mario, Panifici Gustar di Caorle, Pasticceria Pinel di Jesolo, Panificio Al ponte snc di San Donà di Piave. Tutti si dimostrano particolarmente attivi in strategie di innovazione di prodotto e di processo legati ad aspetti ambientali e sociali».

Cooperazione e pesca: due storie a Chioggia

È il “fattore T” – ovvero “territorio” – quello di cui va in cerca Silvia Cavallarin nell’ambito della ricerca “La responsabilità sociale d’impresa nei territori” condotta dall’ Università di Padova – Centro Interdipartimentali di Studi Regionali “Giorgio Lago” (CISR) e coordinata dalla professoressa Patrizia Messina.

Secondo Cavallarin «c’è una grande attenzione da parte degli imprenditori al territorio, con esperienze ad alto valore sociale, rispetto per l’ambiente e promozione culturale e sociale delle proprie comunità». Le storie più interessanti sono legate al mondo della pesca.

Come la cooperativa di tipo A Acqua Futura di Chioggia, che si occupa di ricerca in ambito marino e lagunare. «Ha collaborato con il CNR per la catalogazione dei rifiuti e ha partecipato al “progetto GHOST” sul recupero e riuso delle reti da pesca abbandonate – spiega la ricercatrice –. Le reti abbandonate in mare sono inquinanti e rappresentano una delle esternalità negative che il settore della pesca rilascia nell’ambiente. Grazie a questo progetto queste reti, dopo essere state usate, vengono recuperate e diventano materia prima per realizzare maglie, borse ed altri oggetti. Un esempio di scuola di economia circolare».

Un altro esempio è la coopertiva di pescatori San Marco, sempre di Chioggia, che già nel 2012, ben prima che entrasse in vigore il regolamento europeo sulla tracciabilità del pescato, ha adottato, attraverso un particolare programma informatico, il sistema della tracciabilità per il consumatore: «Attraverso un’etichetta viene indicata la specie pescata, la zona e la data della cattura, il peso e il proprietario dell’imbarcazione» racconta Silvia Cavallarin.

IVL rivolge un appello alle aziende del territorio, che possono rivolgersi alle associazioni di categoria di riferimento per partecipazione al progetto.

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