Issnaf Awards, due ricercatrici venete finaliste per il premio negli Usa

Angela Bononi e Sara Buson sono due giovani ricercatrici venete che lavorano negli Usa. Sono state selezionate per la finale degli Issnaf Awards, il riconoscimento messo in palio dalla fondazione Issnaf che riunisce oltre 4mila ricercatori e docenti italiani in Nord America. I vincitori saranno selezionati all’interno dell’evento annuale Issnaf, il 7 e 8 novembre 2017 all’Ambasciata italiana di Washington, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Fanno parte dei 16 finalisti, ricercatori italiani under 40 selezionati tramite un bando, che presenteranno a una giuria i loro progetti di ricerca in 5 campi: leucemie; scienze ambientali, astrofisica e chimica; medicina, bioscienze e scienze cognitive; ingegneria; matematica e fisica. Saranno premiati i 5 migliori elaborati. Sara Buson è finalista all’ISSNAF Award for Young Investigators – Environmental Sciences, Astrophysics and Chemistry, mentre Angela Bononi per lo Hogan Lovells Award in Medicine, Biosciences and Cognitive Science.

Angela Bononi, dal Polesine alle Hawaii

Angela Bononi, nata nel 1983 a Rovigo e cresciuta a Fiesso Umbertiano, si è laureata in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche all’Università di Ferrara. Con il professor Rosaro Rizzuto, oggi rettore dell’Università di Padova, ha approfondito il mondo della biotecnologia molecolare: «La mia passione per la chimica è nata già alle superiori – racconta –. Quando, durante la laurea, ho dovuto decidere se prendere un indirizzo più chimico farmaceutico o biologico, ho capito che la ricerca di laboratorio era ciò che mi interessava e appassionava di più».

Angela Bononi

Angela Bononi

Dopo un anno di borsa di studio per continuare a lavorare in questo campo, Angela Bononi ha intrapreso il dottorato di ricerca in Biochimica, biologia molecolare e biotecnologie sempre a Ferrara, sotto la supervisione del professor Paolo Pinton. «Fare ricerca è costoso, e in Italia il fattore economico può essere limitante» afferma. Tuttavia l’università era ben finanziata, e il livello delle pubblicazioni alto. Dopo aver conseguito il dottorato nel 2012, la ricercatrice è rimasta un altro anno come post doc, finché nel 2013, grazie a una collaborazione tra l’ex mentore professor Pinton e l’attuale capo professor Michele Carbone, è arrivata la possibilità di trasferirsi alle Hawaii per lavorare presso un laboratorio internazionale in cui collaborano studiosi cinesi, giapponesi, italiani e americani, all’interno della University of Hawaii Cancer Center, Thoracic Oncology.

Gli studi di Angela Bononi l’avevano portata a conoscere la familiarità per il mesotelioma, un tumore raro. Il professor Carbone aveva identificato casi di questa familiarità prima in Turchia e poi negli Stati Uniti, convincendosi che esistesse una predisposizione genetica. Nel 2011, Carbone ha identificato che il gene BAP1 quando è mutato predispone al mesotelioma e altri tumori, fenomeno che il team di lavoro ha chiamato “BAP1 cancer syndrome”. «Ho esaminato i meccanismi responsabili della potente attività di soppressore tumorale di BAP1, cercando di capire perché individui in cui questo gene è mutato sviluppano mesotelioma e altri tumori correlati a cancerogeni ambientali» spiega Bononi.

«In Italia sono stata fortunata – afferma la ricercatrice –, perché non ho sofferto limitazioni economiche, ma qui in America siamo lasciati molto più liberi di sviluppare, pensare e organizzare esperimenti come vogliamo. Siamo anche liberi di avere idee sbagliate e poter cambiare direzione: a volte le scoperte migliori partono proprio da risultati inattesi». L’Italia le manca sempre, come accade spesso a chi non ci vive più. Ma la soddisfazione di fare nuove scoperte e il modo in cui si sviluppano i progetti di ricerca la porta a pensare che non tornerà, almeno nell’immediato futuro.

Sara Buson, una padovana al centro NASA

Sara Buson, classe 1979, nata a Pernumia in provincia di Padova, è un’ex studentessa dell’Università di Padova, dove si è laureata in astrofisica e ha ottenuto il dottorato di ricerca nel 2013. «Sin dall’inizio ho avuto grande indipendenza nel mio lavoro, con l’opportunità di inserirmi in un contesto internazionale» racconta. Al dipartimento di fisica, grazie al supervisore Denis Bastieri, ha potuto lavorare con il telescopio spaziale per raggi gamma Fermi ed entrare a far parte della collaborazione Fermi LAT (Large Area Telescope), tra i cui principali promotori oltre alla NASA ci sono le agenzie spaziali di Italia, Francia, Giappone e Svezia.

Sara Buson

Al dottorato è seguito un post doc a Padova per proseguire il lavoro in forza al gruppo Fermi. In questo periodo Sara ha avuto la possibilità di crescere professionalmente tra le migliori Università ed enti di ricerca al mondo, tra cui Berkeley e Stanford: «Nonostante il gruppo padovano fosse relativamente piccolo, lavoravamo in un ambito internazionale: ho così collaborato con i più grandi esperti del settore, persone da cui imparare non solo professionalmente ma anche umanamente, pronte a confrontarsi e a rapportarsi in modo semplice e costruttivo con chiunque».

Dopo poco più di un anno di post doc la giovane ricercatrice ha avuto quella che definisce «un’offerta irrinunciabile»: lavorare negli Stati Uniti al Goddard Space Flight Center, il prestigioso centro della NASA dedicato alla ricerca spaziale. In questo «ampio e vibrante contesto scientifico» Sara Buson si trova tuttora, grazie alla vincita di premi e finanziamenti per supportare la sua ricerca. «Il focus della mia ricerca è l’Universo degli eventi più energetici e violenti conosciuti, studiati tramite i raggi gamma catturati dal Fermi LAT – spiega –. Le galassie attive sono gli oggetti che trovo più affascinanti: al loro centro c’è un buco nero super-massiccio, che è il motore principale della fonte di energia. Queste galassie sono acceleratori naturali di particelle che ci permettono di studiare energie inaccessibili anche ai più potenti acceleratori costruiti dall’uomo, come quelli al CERN. Studiandole, possiamo ottenere importanti informazioni riguardo l’origine e l’evoluzione del nostro Universo. Ad esempio, trovandosi a distanze cosmologiche notevoli, ci permettono di testare l’effetto di lente gravitazione, ipotizzato per la prima volta da Albert Einstein nella teoria della relatività generale».

 

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