Miteni di Trissino, non solo Pfas: ritrovati rifiuti interrati
La Miteni, azienda chimica di Trissino (Vicenza) già al centro del caso Pfas, denuncia il ritrovamento nel sottosuolo di «sacchi di plastica che contengono rifiuti industriali». «Non possiamo escludere che in mezzo ci siano anche rifiuti tossici» dice l’azienda al Corriere del Veneto di giovedì 26 gennaio 2017.
Lo stabilimento, fondato nel 1965 dalla Rimar, acronimo di Ricerche Marzotto, produce sostanze perfluorate che vengono poi utilizzate per rendere i tessuti idrorepellenti. Dopo essere passata di mano a una joint venture fra Enichem e Mitsubishi nel 1988 (nasce allora il nuovo acronimo: MitEni), nel 1996 il gruppo giapponese ne rileva tutte le quote. Nel 2009 infine viene rilevata da International Chemical Investors Group.
Nel 2012 il il Cnr scopre nelle falde del bacino dell’Agno un’altissima concentrazione di Pfas, composti perfluoroalchilici che sarebbero stati versati proprio dalla Miteni. Le falde toccate si trovano in decine di comuni fra le province di Vicenza, Verona e Padova, da Trissino giù fino a Montagnana, passando per Lonigo, Cologna Veneta e Vicenza.
La legge italiana non fissa un tetto alla concentrazione nelle acque di queste sostanze, utilizzate ad esempio nel teflon delle pentole e nel tessuto goretex. Ma diversi studi medici internazionali e, negli Usa, una class action che ha portato la Dupont a risarcire per 300 milioni di dollari le popolazioni contaminate dagli Pfas riversati nelle acque da uno stabilimento, affermano che sull’uomo abbiano effetti potenzialmente cancerogeni. Nel giugno 2016 è emerso che Luigi Guarracino, ex amministratore delegato di Miteni spa fino alla fine del 2013, è indagato dalla Procura di Vicenza nell’ambito dell’indagine sugli Pfas. «Miteni non produce più da anni Pfos e Pfoa, dal 2011, e ancora prima i reflui delle lavorazioni erano inviati a sistemi di trattamento esterni» si difende l’azienda.
Le verifiche dell’Arpav e gli studi del Registro nascite-malattie rare e del Servizio epidemiologico della Regione Veneto hanno rilevato un «moderato ma significativo eccesso di mortalità» per una serie di patologie «possibilmente associate a Pfas». Queste sarebbero le cardiopatie ischemiche, le malattie cerebrovascolari, il diabete mellito, l’Alzheimer, l’ipotiroidismo.
Ora, dopo il caso Pfas, è l’azienda stessa a farsi avanti denunciando il ritrovamento da parte dei suoi tecnici ambientali di «alcuni sacchi di plastica che contengono rifiuti industriali» posti «a un metro e mezzo di profondità sull’argine del torrente Poscola». Rinvenimento avvenuto la mattina del 25 gennaio, «nel corso delle attività di analisi dei terreni esterni all’impianto». I sacchi, dice l’azienda, contengono «materiali diversi, mescolati a calce, sepolti presumibilmente negli anni Settanta quando furono realizzati gli attuali argini del torrente dalla società Rimar (Ricerche Marzotto)».
«La scoperta è stata fatta dai tecnici ambientali Miteni nel corso di una campagna di caratterizzazione esterna allo stabilimento, secondo un piano sviluppato nella conferenza dei servizi – si legge ancora nella nota diffusa dalla ditta trissinese –. Durante la campagna sono stati fatti numerosi carotaggi nel terreno sull’argine del torrente; in corrispondenza di uno di questi carotaggi è avvenuto il ritrovamento. Attualmente sono stati rinvenuti circa due metri cubi di rifiuti che devono essere esaminati per definirne la natura e l’origine.
L’azienda ha informato Arpav e tutti gli enti per definire le modalità di rimozione dei materiali e concordare le azioni di bonifica.
Arpav: area messa in sicurezza con teli
La notizia è confermata anche dall’Arpav, l’agenzia regionale per l’ambiente, che aggiunge ulteriori dettagli. «Nella Conferenza dei servizi indetta all’inizio di dicembre dal Comune di Trissino per l’approvazione del progetto di bonifica del sito contaminato della ditta Miteni – si legge in una nota –, Arpav di concerto con gli altri enti ha richiesto alla ditta alcune indagini integrative lungo l’argine del Poscola entro la fascia di rispetto idraulica del torrente, per verificare la presenza di contaminanti nel suolo e per valutare le caratteristiche idrogeologiche dell’area arginale. Per tale fase è stato proposto dalla Miteni un piano di lavoro che prevede carotaggi e campionamenti in gennaio, attività di laboratorio in febbraio-marzo, un ulteriore periodo per l’elaborazione dei dati e consegna dei risultati entro il 30 aprile 2017».
«La Miteni ha comunicato l’inizio delle attività di cantiere per permettere al personale Arpav di essere presente ai lavori al fine di assistere alle operazioni ed eseguire alcuni campionamenti in contraddittorio con la ditta – prosegue l’agenzia –. Ieri nel corso delle attività, durante la realizzazione di una trincea, sono stati rinvenuti rifiuti di cui ARPAV ha prelevato un campione e inviato al proprio laboratorio per le analisi. Nel pomeriggio è stata realizzata un’ulteriore trincea, sempre sull’argine, ma a ridosso di strutture in metallo e calcestruzzo dello stabilimento che ha evidenziato un’ulteriore presenza di rifiuti».
I lavori di scavo sono stati sospesi nel pomeriggio del 25 gennaio per valutare i rischi strutturali e impiantistici presenti nell’area, ma sono ripresi il giorno 26. «Nel frattempo sono state messe in atto delle misure di messa in sicurezza con teli impermeabili – comunica Arpav –. Il rifiuto rinvenuto riguarda materiali gommosi in sacchetti di plastica mescolati a calce, interrati a una profondità di un metro e mezzo. I laboratori Arpav hanno attivato la pronta disponibilità per concludere tempestivamente le analisi. I risultati saranno comunicati alle autorità competenti».
Foto: lo stabilimento Miteni, via Google Maps