La ripresa? Per un'impresa su 4 se ne riparla nel 2015
La ripresa? Più che a portata di mano, pare un bersaglio ancora sfocato e incerto. Per il 38,9% degli imprenditori è anzi concreto il pericolo che la recessione assesti gli ultimi colpi di coda. Quanto a una ripresa più duratura e solida, un imprenditore su quattro ritiene che l’Italia completerà l’aggancio solo dopo il 2014. È appena il 6% chi vede per l’economia italiana una robusta inversione di tendenza già nel primo semestre del prossimo anno e il 15,6% entro la fine dell’anno. È quanto emerge dall’indagine Il quadro economico e l’agenda per la ripresa. Le opinioni degli imprenditori padovani realizzata dall’Ufficio Studi di Confindustria Padova, in collaborazione con Fondazione Nord Est, nel mese di ottobre su un campione di 365 imprese.
Nuove ombre dalla situazione politica
Se il clima generale è plumbeo, meno negativo è il giudizio sulle prospettive della propria azienda, a riprova che gli imprenditori confidano sempre più in se stessi e sempre meno nelle capacità di riforma del sistema Paese. La larga maggioranza ritiene di stare performando in linea (60,6%) o meglio (30,5%) dei propri concorrenti. Solo il 2,9% ritiene di andare peggio. Se il sentiero della ripresa appare già fragile e insidioso, la situazione politica aggiunge altre ombre. Il rischio di instabilità politica è in cima alle preoccupazioni degli imprenditori (76,8%) per gli effetti negativi che avrebbe sugli sforzi di risalita. Più temuto della cronica debolezza della domanda interna (51%) e addirittura del rischio che proseguano le politiche restrittive del credito (35,7%). Per non dire del rischio di crollo del sistema bancario (26%) e dell’Eurozona (17,9%), del declino dei mercati emergenti (5,5%), dell’apprezzamento dell’euro sul dollaro (5,0%) o dei conflitti geopolitici in Medio Oriente (4,6%). Il segnale alla classe politica è forte e chiaro: troppo acerbi i segnali di (lenta) ripresa dopo anni di crisi e un Pil sceso del 9% in cinque anni, perché l’Italia possa giocare con il fuoco dell’ennesima (devastante) crisi politica.
Una ripresa senza occupazione
La maggiore confidenza sulla propria azienda non basta a rianimare la domanda di lavoro. La prospettiva di una ripresa senza occupazione si fa sempre più concreta. La maggioranza degli imprenditori (61,5%) non prevede variazioni degli organici nel 2014 rispetto ai livelli occupazionali del 2013. Il 13% prevede un aumento dell’occupazione fino al 10% (e il 2% sopra il 10), l’11,2% una riduzione degli organici fino a 10 punti e il 5,5% superiore a 10. Quanto alle priorità per dare una scossa alla crescita centrata sul manifatturiero, in Italia e in Europa, gli imprenditori si esprimono come un sol uomo: il 72% indica l’armonizzazione delle politiche fiscali e la riduzione del prelievo su lavoro e imprese. Insomma, meno tasse in busta paga per lasciare più soldi a lavoratori e imprese, far ripartire consumi e investimenti. Seguono la detassazione degli investimenti in ricerca (33,7%), una politica industriale per la competitività dei settori tradizionali (30,7), una nuova finanza per la capitalizzazione delle imprese (30,1), la riduzione dei costi di energia e logistica (28,9%).
Pavin: manca un progetto Paese per la crescita
«Se la caduta libera pare essersi arrestata, le imprese sono molto caute sull’imminenza di una svolta ciclica, anche perché non vedono un progetto Paese per la crescita – commenta il presidente di Confindustria Padova, Massimo Pavin -. La maggior parte si aspetta un altro anno difficile e il lavoro sarà ancora un’emergenza. È assurdo che mentre il Paese è in ginocchio la politica litighi. Uno psicodramma tra fibrillazioni dei partiti e minacce quotidiane di crisi, che scava un solco sempre più profondo con le famiglie e le imprese. Di fronte a tanta irresponsabilità restiamo allibiti. La politica non scherzi con il fuoco dell’ennesima crisi».
«Il tessuto produttivo è stremato nell’impegno a sopravvivere, che sarà inutile se la politica non cambia registro. Invece piovono solo nuove tasse, stangate su acconti d’imposta e capannoni. Anche il governo di larghe intese, che avrebbe dovuto farsi garante dell’agire, si è adagiato sullo status quo. La stabilità è un valore se c’è un governo che fa le cose». La misura di questa inconcludenza, argomenta Pavin, è la legge di Stabilità. «Sia chiaro: una legge di Stabilità a saldi invariati non avrà alcun effetto sulla crescita. L’unico modo serio e sostenibile di finanziare la riduzione del cuneo fiscale e la crescita sono i tagli alla spesa. Non ci sono scappatoie. La spesa pubblica al netto di interessi e prestazioni sociali somma a 351 miliardi. Non se ne possono risparmiare subito 10 per il cuneo, cioè il 2,9%? Chiedete a un piccolo imprenditore in difficoltà, se non riesce a tagliare il 2,9% di quanto spende. Il governo non si fermi agli annunci. Dica qui ed ora, e inizi a farlo, dove e cosa vuole tagliare. Dica una cosa sola: le tasse non aumenteranno perché le spese scendono. Senza questa certezza, rassegnamoci a non vedere ripartire consumi e investimenti».