Consoli, nelle intercettazioni il "sistema" Veneto Banca

Le intercettazioni raccontano come Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato di Veneto Banca arrestato dalla Guardia di Finanza il 2 agosto 2016 e posto ai domiciliari nella sua villa con vista su Campo Marzo a Vicenza, interpretasse il suo ruolo di “dominus” della banca popolare con sede a Montebelluna. Le trascrizioni sono raccolte nell’ordinanza con cui il gip di Roma Vilma Passamonti ha disposto la custodia ai domiciliari per l’ex amministratore delegato e il sequestro di beni per 45 milioni di euro (fra cui la stessa villa di Consoli).

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Le “baciate” di Veneto Banca: prestiti in cambio di azioni

Il meccanismo delle operazioni “baciate”, cioè della concessione di prestiti a clienti della banca a condizione che questi acquistassero azioni della banca stessa, è stato denunciato da centinaia di azionisti grandi e piccoli, di Veneto Banca come di Banca Popolare di Vicenza, e rappresenta uno dei filoni di indagine più importanti. Secondo il gip Passamonti questo sistema era in vigore ancora a fine gennaio 2015, appena tre mesi prima che l’assemblea della banca popolare sancisse il primo forte taglio del valore azionario, il 17 aprile. Nelle carte del gip si riporta l’intercettazione in cui il capo area di Milano dell’epoca parla delle pressioni ricevute da Consoli, che lo avrebbe rimproverato:

«Cazzo, sulle azioni non state facendo niente».

In un’altra intercettazione telefonica di febbraio 2015 un funzionario, parlando di un mutuo richiesto da un risparmiatore, dice:

«Lo facciamo solo a chi è socio… se è disposto a comprare azioni portalo qui». E ancora: «Sull’immobiliare li facciamo solo per chi è socio, chi non è socio non… se è disposto a fare un discorso di questo genere, va bene».

Il contratto di consulenza di Consoli

Sempre in quei mesi precedenti alle dimissioni, che arriveranno a fine luglio 2015, Vincenzo Consoli si preoccupa di tenere un piede (e anche qualcosa di più) nella stanza dei bottoni della banca che aveva fatto crescere. «Io devo andar via, è inutile che stiamo qui, che sennò questi qui continueranno» confida al telefono Consoli, parlando con il consigliere Luigi Rossi Luciani. Si riferisce alle ispezioni delle autorità di vigilanza che vogliono vedere chiaro nei bilanci di Veneto Banca: l’ispezione della Banca d’Italia durata dal 15 aprile al 9 agosto 2013, gli accertamenti della Banca Centrale Europea nel novembre 2014 e l’ispezione disposta dalla Consob in ottobre 2015. Nelle conversazioni intercettate non usa mezzi termini, Consoli, sul capo della vigilanza della Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo:

«È un idiota».

Secondo il gip la scelta di farsi da parte di Consoli è un modo “per fornire un segnale di cambiamento agli organi di vigilanza tali da poterne poi affievolire la forte pressione”. La via d’uscita secondo l’allora ad è un «contratto di consulenza per gestire il grande capitale – sempre a sentire l’intercettazione –, perché comunque è un grande capitale che conosco io, che posso gestire io, mi farete un contratto di consulenza esterno alla banca, in modo tale che non possa creare disagi rispetto alla Banca d’Italia, alla Bce».

Secondo il gip Consoli potrebbe incidere anche oggi nelle scelte di politica aziendale della banca, tesi avvalorata da un’intercettazione dell’aprile 2015 fra Consoli e l’allora consigliere Cristina Rossello, la quale si affida all’ex ad per avere la “linea” su chi scegliere come successore del vice presidente Alessandro Vardanega (che si sarebbe poi dimesso a novembre).

«È un momento troppo delicato e quindi in realtà chiunque andrebbe bene – dice Rossello nell’intercettazione –. Non nel senso di chiunque, ma in questo momento deve essere una persona vicina, che sa fare con forza, quindi chiunque tu senta che è più anche efficace, più utile, lo scegli, stai tranquillo che ci dai un input e noi ci siamo».

Il “piacerino” a Giovannone e d’Aguì

Tra i 14 indagati ci sono poi Pietro D’Aguì e Gianclaudio Giovannone, soci della torinese Banca intermobiliare di investimenti (Bim) acquisita da Veneto Banca all’inizio del decennio (e che l’istituto di Montebelluna aveva poi cercato di vendere, a una cordata di cui proprio D’Aguì era capofila, ma l’operazione era stata bloccata dalla Bce). I due avrebbero concordato con Veneto Banca un’operazione, che viene definita nelle intercettazioni «piacerino», per pompare artificialmente il valore del patrimonio della banca. Sottoscrivono un prestito obbligazionario per 15 milioni, 7,5 ciascuno, un bond poi riacquistato dalla banca.

Veneto Banca: i nomi dei 14 indagati

Oltre a Vincenzo Consoli, sono 14 gli indagati che il 2 agosto sono stati “visitati” dalle perquisizioni della Guardia di Finanza. Ci sono due ex presidenti di Veneto Banca: Francesco Favrottodimessosi nell’ottobre 2015, e il suo predecessore Flavio Trinca. I due dipendenti di Veneto Banca Flavio Marcolin, ex responsabile degli affari societari e legali, e Stefano Bertolo, ex responsabile della direzione centrale amministrazione. Pietro D’Aguì (si veda sopra) e Gianclaudio Giovannone (quest’ultimo titolare della società Mava). Indagati anche Mosé Fagiani, ex condirettore di Consoli in pensione dal 2015, Massimo Lembo, già responsabile della compliance e indicato dall’ad Cristiano Carrus come responsabile delle politiche del lavoro, poi uscito da Veneto Banca a fine 2015. Figurano nella lista del gip anche Renato Merlo già direttore delle banche estere di Veneto banca, e gli ex sindaci Diego XausaMichele Stiz, Marco Pezzetta, Martino Mazzocato e Roberto D’Imperio.

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