Il gender gap nelle posizioni apicali: in Veneto le dirigenti donne sono ancora troppo poche
Meno distanze dal punto di vista salariale, ma molta più difficoltà per le donne a raggiungere posizioni manageriali, e di conseguenza a ottenere maggiori livelli di retribuzione. È il quadro che emerge dall’indagine CNA a proposito dei divari di genere nelle piccole e medie imprese nel territorio. In occasione dell’8 marzo il confronto sul tema della parità di diritti nei luoghi di lavoro inizia quindi da qui.
Secondo le statistiche in Veneto soltanto il 14,18% sono oggi le dirigenti donne, contro l’85,82% degli uomini. E questo nonostante il balzo positivo registrato durante il periodo del Covid 19 (+4,69% tra 2019 e 2020), a completamento di un processo d’inclusione che ha subito comunque un’importante accelerata nell’arco del decennio 2010-2020 (+56,6%). Tra le province maggiormente virtuose si distingue Verona, sesta in Italia e prima in Veneto (18,57% di donne dirigenti). Vicenza si colloca invece in 19esima posizione, fermandosi al solo 10,35%.
«E questo – evidenzia Cinzia Fabris, presidente CNA Veneto Ovest – nonostante i dati abbiano già ampiamente dimostrato che sviluppo e resilienza nel triennio della pandemia sono stati appannaggio proprio delle aziende più inclusive e al plurale. Volendo guardare al bicchiere mezzo pieno, possiamo dire che la strada tracciata è quella giusta, dato che tutti gli indicatori sono comunque positivi. Ma dobbiamo lavorare per accelerare lungo questa rotta, altrimenti quella della parità sarà un’eterna rincorsa anche per la prossima generazione».
Obiettivo certificazione di parità anche per le pmi
Tra gli obiettivi primari che l’associazione si è posta in questa direzione c’è naturalmente il progetto per accompagnare anche le piccole e le medie imprese lungo il percorso per l’ottenimento della certificazione di parità di genere. Con l’entrata in vigore della legge 162 del 2021, intervenuta a modificare il Codice della parità di genere sul luogo di lavoro, tutti gli attori del mondo produttivo sono infatti chiamati a interrogarsi sui propri standard in materia di gender equity e sugli eventuali interventi da mettere in campo per perfezionarli. Nel corso del 2023 l’Italia punta ad avviare il maggior numero di imprese al percorso per l’ottenimento della certificazione di parità, cioè la qualifica che attesta il rispetto degli obiettivi fissati dal punto numero 5 dell’Agenda ONU 2030. Tra le buone pratiche che permetteranno di ottenere il riconoscimento, l’avvio di una policy dimostrabile per favorire equità salariale a parità di mansioni, comuni opportunità di crescita, accesso a posizioni di vertice, adozione di politiche per la gestione delle diversità di genere e per la tutela della maternità.
«Si tratta di un cambiamento epocale dal punto di vista dell’empowerment femminile in azienda – aggiunge Fabris -. Per la prima volta la parità di genere si traduce in una serie di azioni misurabili e applicabili fin da subito nel singolo contesto aziendale per trasformare le imprese di qualsiasi dimensione in un luogo dove l’unica cosa che conta è il valore delle persone, non il loro sesso. A noi il compito di trasmettere agli imprenditori il valore di una certificazione che non è un semplice “bollino” da apporre per ottenere benefici, ma il risultato di un percorso di crescita culturale ormai improcrastinabile per le imprese che vogliono restare al passo con i tempi».
Unioncamere ha già elaborato diversi strumenti a supporto delle imprese meno strutturate, ma per allargare il bacino di destinazione c’è bisogno di ulteriori risorse stanziate in modo mirato cogliendo le opportunità legate al Fondo Sociale Europeo e al Pnrr.
«Il nostro tessuto produttivo è fatto di aziende di territorio – aggiunge Elisabeth Sarret, presidente Impresa Donna CNA Veneto Ovest – e se vogliamo costruire una reale parità diffusa dobbiamo partire da qui. L’auspicio è che anche la Regione Veneto possa raccogliere questa sfida al nostro fianco. L’eliminazione del gender gap in azienda è infatti una battaglia di tutti, non solo delle grandi realtà industriali strutturate e attrezzate per adeguarsi al cambiamento. Con questo approccio inizia il processo per superare finalmente il concetto di “quote rosa”, portando la questione su un piano di valori che sarà premiato e sostenuto nel tempo, anche dal punto di vista economico».
Francesca Ponzecchi