La mafia fattura 40 miliardi l’anno e concorre al 2% del PIL italiano. CGIA: “eticamente inaccettabile”

La “Mafia S.p.a.” fattura 40 miliardi di euro l’anno e concorre a oltre il 2% del PIL italiano. Un giro d’affari, quello dell’economia delle organizzazioni criminali, che è inferiore solo al fatturato di GSE (Gestore dei Servizi Energetici) di Eni e Enel. Dati che sarebbero anche sottostimati, non potendo valutare i proventi ascrivibili all’infiltrazione della mafia nell’economia legale.

A dirlo è l’ufficio studi della CGIA che giudica “eticamente inaccettabile” conteggiare nella ricchezza nazionale anche i proventi delle organizzazioni malavitose. Una pratica possibile grazie al provvedimento UE del 2014 che consente a tutti i paesi membri di includere nel PIL alcune attività economiche illegali, come la prostituzione, il traffico di stupefacenti e il contrabbando di sigarette.

Grazie a questa opportunità nel 2020 – il dato più recente a disposizione – l’Italia ha gonfiato la propria ricchezza nazionale di 17,4 miliardi di euro, quasi un punto di PIL.

A livello territoriale, la presenza più diffusa delle organizzazioni economiche criminali si registra nel Sud Italia, anche se evidenze dimostrano la presenza di queste realtà illegali anche nelle aree del Centro-Nord. La letteratura specializzata evidenzia che storicamente le zone dove l’economia locale è condizionata dalla spesa pubblica e il livello di corruzione della PA è elevato, è più alta la vulnerabilità al potere corruttivo delle mafie.

In particolare, secondo la Banca d’Italia, presentano un indice di presenza mafiosa preoccupante al Centro-Nord le province di Roma, Latina, Genova, Imperia e Ravenna. Meno colpite, ma comunque con forti criticità, le province di Torino, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Varese, Milano, Lodi, Brescia, Savona, La Spezia, Bologna, Ferrara, Rimini, Pistoia, Prato, Firenze, Livorno, Arezzo, Viterbo, Ancona e Macerata. Meno investite sarebbero invece le province del Triveneto, la Valle d’Aosta e l’Umbria.

Oltre ai 17,4 miliardi di euro prodotti dalle attività illegali, il nostro PIL ne assorbe altri 157 miliardi, di cui 79,7 sono nascosti dalla sottodichiarazione, 62,4 dal lavoro irregolare e 15,2 dalla voce “Altro” (mance, affitti in nero). I 174,4 miliardi di euro che si ottengono compongono così la cosiddetta “economia non osservata”, che viene interamente conteggiata nel PIL nazionale. Ciò significa, secondo CGIA, che evidentemente una parte importante di questo stock è riconducibile alle organizzazioni criminali di stampo mafioso.

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