Veneto, 9500 imprese sull'orlo del default. Cgia: «Rischio usura»

Sono 9.575 le imprese venete a rischio usura secondo la Cgia di Mestre, che ha elaborato i dati di Banca d’Italia. Sono principalmente piccole e medie imprese non in grado di assolvere i debiti e conseguentemente segnalate alla Centrale Rischi di Banca d’Italia.

L’essere presenti in questo registro preclude agli imprenditori di accedere a ulteriori misure di finanziamento spingendo, potenzialmente, a ricorrere a strumenti illeciti. La maggior parte delle imprese ha rischio si trova in questa situazione più per demeriti altrui che propri. Infatti, la maggioranza fatica a riscuotere i pagamenti dei committenti o i propri clienti sono falliti, rendendo quindi impossibile riscuotere il credito. Davanti all’impossibilità di utilizzo dei canali legali e con la pressante necessità di liquidità aumenta quindi la possibilità di ricorrere a prestiti “sporchi” con altissimi tassi d’interesse.

Le provincie più a rischio sono Padova (1946) e Vicenza (1913). Seguono Verona (1747) Treviso (1665) e Venezia (1489). Le più virtuose, anche se a causa del numero ridotto di imprese nel loro territorio, sono Rovigo (562) e Belluno (253). Nel corso del 2022 il numero di imprese segnalate è diminuito di 2700 unità rispetto all’anno precedente. Non è però chiaro se sia dovuto alla risoluzione delle problematiche oppure alla chiusura delle attività. Un aiuto alle realtà è giunto tramite misure pubbliche di garanzia e dalla moratoria dei debiti per le Pmi introdotte in Italia dal 2020 per contrastare la crisi pandemica. Gli aiuti sono stati prolungati fino al 31 dicembre 2021 che sarà, probabilmente, il termine ultimo.

Nell’ultimo anno sono diminuiti in maniera drastica i prestiti alle imprese. Dopo il boom del 2020 l’aumento dei prestiti del 2021 si attesta sul +0,7%, otto punti percentuali in meno rispetto all’anno precedente. La contrazione è dovuta sia alla diminuzione della domanda ma anche dalla non concessione di prestiti da parte delle banche. Queste, infatti, davanti a realtà medio piccole in difficoltà valutano il rischio troppo elevato non concedendo il finanziamento.

Il Fondo di prevenzione dell’usura

Cgia chiede che vengano stanziate altre risorse per il Fondo di prevenzione dell’usura. Il Fondo, creato alla fine del secolo scorso, si pone come intermediario tra imprese e banche. Svolge la funzione di garante per per Pmi che si sono già viste rifiutare un prestito dagli istituti di credito. In questo modo gli imprenditori possono accedere a finanziamenti a medio termine o linee di credito a breve termine.

Il “Fondo di prevenzione” prevede due tipi di contribuzione. La prima è destinata ai Confidi a garanzia dei finanziamenti concessi dalle banche alle attività economiche. La seconda è riconosciuta alle fondazioni o alle associazioni contro l’usura che sono riconosciute dal Mef (Ministero Economia e Finanza). Quest’ultima consente anche ai singoli privati (lavoratori dipendenti o pensionati) di avere accesso a misure di credito sicure.

Il Fondo si sostiene principalmente grazie ai proventi delle sanzioni amministrative contro antiriciclaggio e valutarie. Dal 1998 al 2020 lo Stato ha sovvenzionato l’attività con 670 milioni di euro che sono stati in grado di garantire 2 miliardi di euro di finanziamenti. Il prestito medio per le Pmi si attesta sui 50 mila euro mentre per i singoli privati è di circa 20 mila euro. Secondo Cgia i fondi forniti nel 2020, quasi 33 milioni di euro, non sarebbero però sufficienti, e spinge quindi per un aumento degli stanziamenti. L’obbiettivo è di ridurre al minimo il numero di fallimenti delle aziende e di imprese costrette a rivolgersi alla malavita per un prestito.

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