Delocalizzazione, la pandemia ha colpito il doppio per le imprese emigrate. «Con la tecnologia si investe sul territorio»

Se delocalizzare è stato per anni un affare per molte aziende, la pandemia ha stravolto anche questo trend: chi ha trasferito all’estero la propria produzione, infatti, ha riscontrato una perdita di valore maggiore a chi ha scelto di investire sul territorio.

A rilevarlo lo studio di Fondazione Nord Est presentato giovedì a Verona presso l’Interporto Quadrante Europa, nel convegno “Prove di futuro: tra nuove tecnologie e vecchia inflazione”, organizzato assieme a Unicredit.

In un campione di 306 imprese con fatturato superiore ai 20 milioni in Veneto, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia è stata misurata una perdita di valore della produzione pari al 14% per le aziende che hanno delocalizzato, contro un 7% di chi non l’ha fatto.

Dall’indagine emerge che le imprese che hanno stabilimenti produttivi all’estero hanno accusato una variazione del valore della produzione più intensa rispetto alle altre. Si tratta dell’effetto della pandemia sulle supply chain, dovuta al blocco degli approvvigionamenti.

Ne è conseguita una crescita significativa dei costi legati ai trasporti e alle materie prima che ha avviato un processo di crescita dell’inflazione che oggi la Guerra ha ulteriormente acuito, raggiungendo a maggio 2022 un valore del 6,8% e nell’Area Euro dell’8,1%.

Nel corso della pandemia, tuttavia si sono registrati anche alcuni altri fenomeni che hanno contribuito ad accrescere la pressione sull’acquisto di beni. L’impossibilità di acquistare servizi, soprattutto legati ai servizi turistici (voli aerei, alloggio), ma anche cultura, servizi di cura eccetera ha spinto le persone a un maggior consumo di beni materiali. Oggi tale dinamica torna ad attenuarsi, grazie a una ripresa superiore alle attese sul fronte dell’acquisto di servizi che si manifesta ad esempio in una crescita significativa dei voli aerei, delle prenotazioni per le vacanze.

«I maggiori trend attuali e futuri che rileviamo prevedono un ripensamento e riposizionamento delle supply chain incentrati su due fattori principali: la  decarbonizzazione ed economia circolare applicate alla supply chain e la digitalizzazione-tecnologia», ha detto Ilenia Confente, docente di Economia e Gestione delle Imprese dell’Università di Verona. «In particolar modo quest’ultima prevede un ruolo centrale delle tecnologie abilitanti per la supply chain che migliorino la comunicazione, la tracciabilità e visibilità lungo la filiera nonché la trasparenza. Per quel che riguarda il territorio veronese, stiamo assistendo, al netto dei territori impattati dal conflitto russo-ucraino, ad una ripresa delle rotti internazionali  di cui Verona è naturalmente da sempre un crocevia. Per settori come l’agroalimentare ad esempio, nella bilancia è più quello che va all’estero rispetto a quello che rimane in Italia e che passa da Verona».

Il convegno

Nel corso dell’evento sono intervenuti anche Silvia Oliva e Gianluca Toschi di Fondazione Nord Est, oltre alla regional manager Nord Est di Unicredit, Luisella Altare. A portare la loro testimonianza anche manager e imprenditori: Luca Sassoli e Diego Bolzonello, CEO rispettivamente di Burgo Energia e Scarpa, e l’imprenditore toscano Andrea Arienti, fondatore della startup 3DNextech.

«Nel caso del settore manifatturiero, e in particolare per quanto riguarda la plastica – ha spiegato Arienti – la delocalizzazione è stata incentivata da un’enorme capacità produttiva di molti paesi esteri, in grado di abbattere i costi a un ritmo impareggiabile. Per invertire il fenomeno non si può “giocare la stessa partita”: occorre un cambio di paradigma, che può essere abilitato dalla tecnologia. Con gli strumenti giusti la manifattura additiva e più in generale la fabbricazione digitale, può essere la chiave di un nuovo tipo di filiera per la plastica, più sostenibile e decentralizzata, e quindi legata ai territori. Con 3DNextech stiamo lavorando in questa direzione, con una tecnologia che, agendo sull’organizzazione delle catene polimeriche e quindi sulla lavorabilità del materiale, è in grado di rendere la manifattura additiva competitiva anche per le produzioni in larga scala».

Per Luisella Altare emerge «la crucialità dei temi logistici per il futuro delle nostre imprese. Anche questo ambito è stato pesantemente impattato dal fenomeno della digitalizzazione e in futuro lo sarà sempre di più. UniCredit intende mettere a disposizione delle imprese interessate ad avviare investimenti in transizione digitale non solo risorse finanziarie, ma anche competenze e progettualità derivanti da partnership, siglate con eccellenze del comparto a livello internazionale, come Microsoft, e territoriale, come il competence center nordestino Smact e I-Center”.

 

 

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