Confagricoltura Veneto agli europarlamentari: «La nuova Pac sia meno restrittiva»

È duro il giudizio di Confagricoltura Veneto sulla nuova Pac, la politica agricola comune 2023-2027 adottata sl Consiglio d’Europa e che entrerà in vigore dal gennaio 2023, disponendo di un bilancio di 386,6 miliardi di euro, un terzo del bilancio dell’Unione Europea, e sostenendo 7 milioni di beneficiari in tutto il contenente. Per l’associazione degli imprenditori agricoli il piano va cambiato, adeguandolo al nuovo contesto geopolitico dominato dalla guerra in Ucraina: sul tema Confagricoltura ha coinvolto in un incontro gli europarlamentari Herbert Dorfmann (Südtiroler Volkspartei), Paolo De Castro (Partito Democratico), Mara Bizzotto (Lega Nord), Paolo Borchia (Lega Nord) e Sergio Berlato (Fratelli d’Italia). I quali, pur con accenti diversi, hanno promesso che daranno battaglia a Bruxelles.

I punti critici della Pac per Confagricoltura

I punti critici per Confagricoltura sono in particolare i fitofarmaci, l’utilizzo dei terreni destinati a greening e le nuove tecniche genomiche. «La pandemia, il conflitto in Ucraina, i rincari delle materie prime e dei costi energetici, la siccità e le temperature mai elevate in Veneto come oggi obbligano gli agricoltori a fare i conti con una realtà molto più difficile e complessa, di cui anche l’Europa dovrebbe tenere conto» ha detto in apertura Lodovico Giustiniani, presidente di Confagricoltura Veneto. «Siamo d’accordo con il principio della sostenibilità – ha proseguito –, ma occorre garantire il livello produttivo e la competitività aziendale. La Politica agricola comunitaria va attualizzata e modulata con normative meno restrittive e potenziando la ricerca, che deve fornire risposte e soluzioni per adattare l’agricoltura ai cambiamenti climatici».

Concetti ribaditi da Anna Trettenero, presidente di Confagricoltura Vicenza, che ha chiesto un cambio di paradigma sul mondo agricolo, «perché nessuno più di noi può sequestrare l’anidride carbonica nel terreno, con grandi benefici per l’ambiente e la comunità» e per Confagricoltura nazionale dal vicepresidente Giordano Emo Capodilista e da Cristina Tinelli, dell’ufficio di Bruxelles. «L’Europa deve ricordare che non siamo giardinieri, ma agricoltori. Chiederci di produrre meno per favorire l’import da altri Paesi o la produzione di cibo in laboratorio sarà la fine del nostro agroalimentare».

Le risposte degli europarlamentari

Gli europarlamentari hanno chiarito che non ci sarà alcun rinvio della Pac, ma che sarà necessario un adeguamento al nuovo contesto geopolitico che si è determinato con la guerra, i problemi logistici e i costi energetici andati alle stelle.

«Faremo una battaglia tutti insieme sul nuovo regolamento sui fitofarmaci – ha chiarito Paolo De Castro del Pd –, affinché vengano prima fornite alternative agli agricoltori e solo dopo si prosegua nella direzione della diminuzione dei prodotti. Per quanto riguarda le aree di interesse ecologico, annuncio che sarà data la possibilità di coltivarle per un altro anno. Punteremo i piedi, infine, anche sulle new genomic tecnics. Bisogna chiarire per una volta per tutte che sono cosa diversa dal Frankenstein food: la mutagenesi senza innesti è diversa dalla transgenesi. L’Italia è all’avanguardia: abbiamo già tecniche pronte ad essere messe in campo, come i vitigni resistenti alle malattie. Peccato che ancora non si possano applicare perché manca un testo europeo autorizzativo».

Herbert Dorfmann della Südtiroler Volkspartei ha chiarito che la nuova Pac non è da smantellare: «È stata discussa per anni e qualche passo in avanti l’abbiamo fatto. È vero, però, che alcuni elementi stridono con la realtà che nel frattempo è andata delineandosi. Quindi dovremo introdurre nuove misure affinché non venga messa a rischio la nostra produzione agricola. Anche se ritengo sbagliato puntare all’autosufficienza: l’industria alimentare europea e italiana vantano un’alta qualità ed efficienza, ma hanno bisogno di prodotti da altri Paesi».

Mara Bizzotto della Lega Nord ha ricordato di aver sempre guardato con preoccupazione alla strategia Farm to work, «perché si parte dal principio che gli agricoltori inquinano e perciò bisogna farli produrre meno. Ma è una follia, perché così aumenteranno i costi di produzione e dovremo importare ancora di più dai Paesi extraeuropei. Per bloccare queste normative suicide dobbiamo mettere insieme una maggioranza di buon senso, al di là delle appartenenze partitiche, che abbia i numeri per bloccare al Parlamento Ue strategie come quella sui fitofarmaci o sulla nutri-score, l’etichetta a semaforo».

Concorda Sergio Berlato di Fratelli d’Italia: «Non essersi resi conto che negli ultimi tre anni il mondo è cambiato vuol dire essere marziani – sostiene -. La Pac e il Farm to work sono superati e vanno cambiati, perché gli indicatori ci dicono che in autunno arriverà una grave crisi economica e occupazionale. No, quindi, a scelte folli che vanno a smantellare le filiere produttive, facendoci diventare sempre più dipendenti dagli altri Paesi».

Infine Paolo Borchia della Lega Nord, che essendo componente della Commissione industria, ricerca ed energia offre una chiave di lettura diversa. «Bisogna lavorare su una maggiore autonomia energetica, per recuperare il gap causato dalle scelte sbagliate compiute negli ultimi trent’anni dal nostro Paese. Il piano europeo del Green Deal contribuirà a tenere alti i prezzi sia delle materie prime, che dei prodotti energetici. Serve un maggior coraggio dei gruppi politici per cambiare rotta e porre mano a un impianto troppo restrittivo, che andrà a mettere in difficoltà i nostri operatori».

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