Veneto, lo sgradito ritorno del credit crunch

Sebbene nel 2021 i principali istituti di credito italiani abbiano registrato utili importanti e in alcuni casi anche miliardari, a partire da agosto 2020 fino allo stesso mese di quest’anno (ultimo dato aggiornato) gli impieghi bancari lordi alle imprese venete sono tornati a scendere. Nella nostra regione la contrazione è stata di 848 milioni di euro, un risultato negativo, ma comunque più contenuto di quello registrato dalla Toscana (-1,4 miliardi), dall’Emilia Romagna (-1,65 miliardi), dalla Lombardia (-4,9 miliardi) e dal Lazio (-6,2 miliardi di euro).

Secondo l’Ufficio studi della CGIA, l’effetto delle misure messe in campo dal Governo Conte si sarebbe già esaurito. Il “Cura Italia”, il “Decreto Liquidità” e  “Garanzia Italia” hanno sicuramente dato un contributo importante alla ripresa della liquidità del sistema produttivo, ma ora la situazione ha cambiato segno.

Almeno in quest’ultimo anno è difficile comprendere le ragioni di questa tendenza: nonostante le garanzie pubbliche messe in campo e rifinanziate anche per il 2022, pare di capire che a seguito delle misure restrittive in materia di valutazione del credito introdotte a livello europeo dopo le crisi 2008-2009 e 2012-2013, per gli istituti di credito erogare liquidità alle imprese non costituisce più un grande “affare”. Se a ciò si aggiungono i tassi di interesse che da anni si mantengono a livelli prossimi allo zero e i costi di istruttoria sempre più elevati, prestare soldi soprattutto alle micro e piccole imprese per molte banche non è più conveniente.

Ebbene, come fanno le grandi banche a ottenere utili talvolta miliardari ? Al di là delle indubbie capacità dei rispettivi management, in questi ultimi anni si è fatto un deciso ricorso alla spending review, operazione che, in particolar modo, è avvenuta comprimendo il costo del lavoro che ha provocato anche la chiusura di molti sedi ubicate soprattutto nei piccoli comuni, mentre una parte importante dei ricavi è stata ottenuta grazie  alla vendita di nuovi prodotti assicurativi e dall’applicazione delle commissioni sui depositi, le carte di debito/credito e gli investimenti dei correntisti.

Nel mercato creditizio del nostro Paese il ruolo delle grandi banche, fa sapere l’Ufficio studi della CGIA, è determinante. Secondo la Banca d’Italia, nel 2020 erano 11 gli istituti di credito classificati come significativi: a questi era riconducibile l’80 per cento circa  delle attività complessive del sistema. Sebbene il ruolo delle Banche di Credito Cooperativo rimanga un tratto distintivo del Veneto, dopo la “scomparsa” di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza, i grandi gruppi classificati come significativi stanno dominando la scena.

A livello provinciale la situazione più virtuosa si è verificata a Verona che tra agosto 2020 e lo stesso mese di quest’anno ha visto crescere gli impieghi bancari lordi alle imprese di 158 milioni di euro: positiva la situazione anche di Padova (+11 milioni), mentre tutte le altre realtà hanno registrato dati negativi. In termini percentuali le situazioni più critiche si sono manifestate a Treviso con il -3 per cento (-468 milioni di euro), Rovigo con il -3,9 per cento (-91 milioni di euro) e infine Belluno con il -7,9 per cento (-145 milioni di euro).

Secondo le notizie riportate sui principali quotidiani economico-finanziari del Paese, nei primi 9 mesi del 2021, ad esempio, Banca Mps ha registrato un risultato netto di 388 milioni di euro;  sempre nei primi 9 mesi del 2021, Banco Bpm, invece, ha conseguito un utile netto di 472 milioni di euro; Unicredit stima un utile netto nel 2021 di 3,1 miliardi di euro; Intesa Sanpaolo, infine, nei primi 9 mesi di quest’anno ha dichiarato di aver ottenuto un utile netto di 4,01 miliardi di euro.

 

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