La lenta agonia del ghiacciaio della Marmolada: fra 15 anni non ci sarà più
Quindici anni di vita per il ghiacciaio della Marmolada. L’allarme è lanciato da uno studio dell’Università di Padova. La riduzione delle emissioni di CO2 indotta dalla pandemia COVID è una buona notizia per il clima planetario, ma è poca cosa per invertire un trend che sembra essere ormai fuori controllo. La situazione dei ghiacciai, i più fedeli termometri dell’andamento climatico, lo conferma: le misurazioni annuali al ghiacciaio della Marmolada condotte da geografi e glaciologi dell’Università di Padova tratteggiano di anno in anno un quadro sempre più fosco sullo stato di salute del più importante ghiacciaio delle Dolomiti.
La drammaticità della situazione attuale emerge con ancora maggiore nitidezza se messa a confronto con gli oltre cent’anni di misurazioni condotte dall’Università di Padova a partire da Giovanni Marinelli, uno dei pionieri della geografia italiana. Studi e ricerche che fanno della Marmolada uno dei ghiacciai più studiati dell’arco alpino.
Ghiacciaio della Marmolada, la perdita di volume
«Il ghiacciaio della Marmolada negli ultimi 70 anni ha ormai perso oltre l’80% del proprio volume passando dai 95 milioni di metri cubi del 1954 ai 14 milioni attuali – afferma Aldino Bondesan, coordinatore delle campagne glaciologiche per il Triveneto e autore assieme a Roberto Francese dell’Università di Pavia di indagini sullo spessore del ghiaccio mediante georadar – e le previsioni di una sua estinzione si avvicinano sempre di più: il ghiacciaio potrebbe avere non più di 15 anni di vita».
La rapida contrazione dei ghiacciai e il ripetersi sempre più frequente di eventi estremi trovano un epicentro significativo proprio nel comune di Rocca Pietore, ai piedi del ghiacciaio della Marmolada, il territorio più colpito dalla tempesta Vaia del 2018, insignito della bandiera verde di Legambiente per l’impegno nel ripristino dei danni prodotti.
Per far conoscere le proprie attività di ricerca e sensibilizzare la cittadinanza sui drammatici effetti del cambiamento climatico, il Museo di Geografia del Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità dal 2019 ha lanciato l’iniziativa “Misuriamo assieme il ghiacciaio della Marmolada”, una campagna glaciologica partecipata giunta quest’anno alla seconda edizione e inserita all’interno della Carovana dei Ghiacciai organizzata da Legambiente sui principali ghiacciai alpini.
Le misure condotte negli ultimi 15 anni da Mauro Varotto, Responsabile scientifico del Museo di Geografia dell’Università di Padova, e Francesco Ferrarese sulle variazioni frontali e di superficie giungono alle stesse conclusioni.
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«La superficie del ghiacciaio – osserva Mauro Varotto – è passata dai circa 500 ettari stimati da Richter nel 1888 ai 123 ettari del 2018. Dal 2010 al 2020 la fronte è arretrata in media di 10 metri l’anno sui 9 segnali di misura. Se estendessimo il trend di riduzione di superficie degli ultimi 100 anni (3 ha/anno), la fine del ghiacciaio è fissata per il 2060; se consideriamo il trend di contrazione degli ultimi 10 anni (5 ha/anno), la fine viene anticipata al 2045; ma il trend degli ultimi 3 anni è ancora più allarmante (9 ha/anno) e potrebbe portare alla scomparsa di buona parte del ghiacciaio già nel 2031».
«Attorno al patrimonio e alle iniziative promosse dal Museo di Geografia si sta costituendo una comunità in costante crescita – dice Giovanni Donadelli, conservatore del Museo – che anche quest’anno ha risposto con entusiasmo: circa 40 persone dalle valli vicine alla Marmolada, da Padova, Mantova, Milano e Torino hanno partecipato alle misure e toccato con mano gli effetti del cambiamento climatico in un contesto tanto fragile quanto ricco di spunti di riflessione anche sui modelli di sviluppo e gestione del territorio. L’esperienza ha colpito positivamente soprattutto i docenti che grazie a questa immersione geografica assicurano che le loro spiegazioni a scuola su ghiacciai e cambiamenti climatici saranno senz’altro più incisive».
Alla campagna ha partecipato anche Alberto Lanzavecchia, docente di Finanza Aziendale all’Università di Padova, che, di fronte ai 45.000 metri quadri di teli di protezione stesi per conservare il manto nevoso sulla pista da sci che scende dal Serauta, ha sollevato alcuni interrogativi sulla sostenibilità dell’industria dello sci che a causa dei cambiamenti climatici è sempre più povera di neve, confinata a quote sempre superiori, e dipendente da fondi pubblici per l’innevamento artificiale: «Ogni ettaro di pista innevata artificialmente richiede 4000 mc d’acqua, costa 140.000 euro e richiede enormi invasi artificiali per lo stoccaggio dell’acqua – sottolinea Alberto Lanzavecchia -. A che punto dobbiamo arrivare per comprendere che il limite è stato varcato? La politica, almeno quella locale, deve ragionare in termini di limiti e scelte alternative: superfici cementificabili, numero massimo di turisti che una certa area può sopportare, spesa pubblica per investimenti “a perdere” o più sostenibili».
«Serve una diversa sensibilità – conclude Mauro Varotto – per adottare comportamenti virtuosi, e l’Università nel suo piccolo con queste iniziative può fare la sua parte, unendo efficacemente ricerca, didattica, coinvolgimento sociale».