Crac Veneto Banca, chiesto il rinvio a giudizio per l'ex Ad Vincenzo Consoli

Il pubblico ministero titolare dell’inchiesta sul crac di Veneto Banca, Massimo De Bortoli, ha richiesto il rinvio a giudizio per l’ex amministratore delegato Vincenzo Consoli per i reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto. Nell’indagine erano coinvolti oltre a Consoli anche l’ex presidente dell’istituto di credito, Flavio Trinca, il condirettore Mosè Faggiani, e il responsabile dell’amministrazione centrale, Stefano Bertolo. Per loro il Pm ha chiesto invece l’archiviazione, spiegando di non disporre di elementi sufficienti a reggere in giudizio le contestazioni nei loro confronti.

Se il gip accoglierà le richieste, il primo processo sul crac dell’istituto di Montebelluna, scaturito dall’inchiesta ereditata da Roma (con 11 indagati, ridotti a 4 in sede di chiusura indagini) avrà come unico protagonista l’ex Ad. Colui che, secondo De Bortoli, «gestiva la banca come fosse una cosa sua. Ogni cosa veniva decisa da lui e chi non si atteneva alle sue decisioni veniva sostituito». Consoli è accusato di aver comunicato a Bankitalia, tra il 2012 e il 2013, un patrimonio gonfiato, perché dai 2,3 miliardi dichiarati dovevano essere tolti 430 milioni di azioni baciate, 131 di accantonamenti su rischi aggiuntivi e ulteriori perdite su crediti per 1,1 miliardi, oltre a 600 milioni di euro in più di crediti in sofferenza. Se contabilizzati, il patrimonio da 2,3 miliardi sarebbe sceso a 613 milioni.
«Valutare estranei ai fatti dei dirigenti apicali dell’Istituto è un’ammissione dell’insussistenza del reato anche per il mio assistito», ha commentato l’avvocato di Consoli, Ermenegildo Costabile.

Intanto altri filoni d’indagine viaggiano su binari paralleli all’inchiesta madre. Un fascicolo è aperto per bancarotta, oltre a quello che ipotizza i reati di truffa e falso in bilancio a carico dei vertici della banca e di alcuni direttori di filiale, filone in cui sono già 3.500 le parti lese.

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