Dazi Usa, export veneto a rischio. Finco: «No a guerre commerciali»
Nel 2017 l’export veneto negli Stati Uniti ha toccato il record di 4,9 miliardi (+4% dal 2016, +118% dal 2009), confermando una crescita costante che rappresenta l’8% dell’export totale veneto e pone gli Usa come terzo mercato di riferimento dopo Germania e Francia. Una crescita che però adesso rischia di interrompersi: venerdì infatti scattano i nuovi dazi del 25% sulle importazioni di acciaio e del 10% su quelle di alluminio. E la mossa di Donald Trump spaventa le imprese: «Le politiche protezionistiche sono un’incognita e un forte rischio al ribasso per le prospettive di crescita, proprio ora che avvertiamo segnali diffusi di ripresa – dichiara il presidente di Confindustria Padova, Massimo Finco -. Dopo le decisioni di Trump sull’acciaio e l’alluminio si apre un pericoloso terreno di scontro che rischia di estendersi ad altri settori delle nostre produzioni, che hanno concluso il 2017 con il record di export veneto nel mondo di 61,3 miliardi (+5,1% rispetto al 2016). Un protezionismo di questo tipo, e le eventuali ritorsioni da parte di altri Paesi, via barriere tariffarie e svalutazioni competitive, avrà ricadute dirette sull’economia e l’occupazione, considerando che l’export è il nostro principale fattore di crescita. Serve una risposta forte a livello europeo, per evitare una escalation dalla quale perderebbero tutti».
Finco: «Fare blocco con Germania e Francia»
Per Finco, ripagare gli Usa con la stessa moneta non avrebbe senso: «Occorre scongiurare guerre commerciali che rischiano di determinare un pericoloso effetto valanga sull’economia e sulle relazioni tra Paesi alleati. Per questo chiedo al Governo uscente e alle forze politiche premiate dal voto di non lasciare sguarnito questo fronte ma di fare blocco comune con Germania e Francia per una chiara strategia europea che punti a ottenere l’esenzione anche per i Paesi dell’Ue. C’è bisogno di più Europa, non di meno». Lo sguardo di Finco non è rivolto solo verso gli Usa: «Occorre cogliere questa occasione anche per ripensare norme sul commercio mondiale più eque e antidumping tra Paesi, penso alla Cina. Norme che non si limitino a considerare l’aspetto economico nelle relazioni, ma tengano conto anche del rispetto delle stesse regole sul piano ambientale, della tutela sociale dei lavoratori e della sicurezza dei cittadini, che altrimenti mettono fuori mercato molte nostre aziende».
Alessandro Macciò