Giustizia, in Veneto manca la metà degli assistenti sociali
Solo 51 assistenti sociali per 9.582 persone seguite nel 2014, un rapporto che scende a 8 assistenti sociali per 842 minorenni nel 2014 e per 917 nel 2015. Negli Uffici di Esecuzione penale esterna del Veneto la carenza di organico raggiunge il 48,5%: a rischio la misura della “messa alla prova”, che ha ridotto recidiva e costi della giustizia. È la denuncia dell’Ordine degli Assistenti sociali del Veneto, che per chiedere più attenzione da parte del Ministero parteciperà alla manifestazione a Venezia venerdì 27 maggio. Qualche mese fa l’Ordine aveva denunciato anche il massiccio utilizzo di personale precario, tramite cooperative, da parte della pubblica amministrazione: uno su tre non ha un contratto stabile in Veneto.
«Gli assistenti sociali impegnati nell’amministrazione della giustizia in Veneto sono circa la metà di quelli previsti in organico, a fronte di carichi di lavoro in forte aumento – afferma Monica Quanilli, presidente dell’Ordine degli Assistenti sociali del Veneto –. Il sistema rischia il collasso e l’applicazione della misura della messa alla prova, strumento efficace di reinserimento sociale e di prevenzione della recidiva, è messa a rischio. Lo stanziamento di un milione di euro da parte del Ministero per il coinvolgimento di 120 esperti di servizio sociale a livello nazionale, pur con contratti a tempo, è un primo passo, ma non basta. Occorre rafforzare questo impegno, e occorre fare presto, anche nella nostra regione».
Giustizia: in piazza a Venezia il 27 maggio
I professionisti degli Uffici di Esecuzione penale esterna del Veneto hanno deciso di manifestare venerdì 27 maggio davanti alla Cittadella della Giustizia di Venezia. La mobilitazione, indetta dalle Rappresentanze sindacali unitarie, intende denunciare come la forte e prolungata carenza di assistenti sociali nei tre Uffici esecuzione penale esterna del Veneto – Padova-Rovigo, Venezia-Treviso-Belluno e Verona-Vicenza – metta a forte rischio l’applicazione delle misure alternative al carcere, in particolare la messa alla prova.
Prevista dal 1989 per i minorenni, la messa alla prova è una misura alternativa al carcere con cui la persona si impegna in un programma di recupero, di riparazione delle conseguenze del reato, di conciliazione con le vittime e di impegno in attività socialmente utili. Questo strumento si è rivelato molto utile, sia perché fa diminuire i casi di recidiva sia perché costa meno allo Stato. Pertanto la misura è stata estesa dal 2014 anche agli adulti. Tale sistema vede impegnati gli assistenti sociali degli Uffici esecuzione penale esterna (Uepe) e degli Uffici servizio sociale minorenni (Ussm), come pure la collaborazione dei servizi sociali degli enti locali, dei servizi socio-sanitari e delle associazioni di volontariato del territorio.
Gli Uffici di Esecuzione penale esterna del Veneto vedono la presenza di 51 assistenti sociali con una carenza di organico del 48,5%, a fronte di 9.582 persone seguite nell’anno 2014 (dati del Ministero della Giustizia). Il carico di lavoro è ulteriormente incrementato negli anni 2015 e 2016 per l’aumento del ricorso all’istituto della messa alla prova. La carenza di assistenti sociali che investe anche l’Ufficio servizio sociale minorenni del Veneto (sede di Venezia), che vede la presenza di soli 8 assistenti sociali, il 43% in meno di quelli previsti dall’organico, impegnati sull’intero territorio del Veneto, con 842 minorenni presi in carico nell’anno 2014 e 917 nel 2015.
Blocco assunzioni incide sulla qualità del lavoro
«Il blocco delle assunzioni e del turn over e l’organico sottostimato degli assistenti sociali dipendenti dal Ministero della Giustizia – aggiunge Monica Quanilli – incidono pesantemente sulla qualità del lavoro con le persone e sull’applicazione di tutte le misure alternative alla detenzione, precludendo la possibilità di investire nel coinvolgimento dei servizi sociali e socio-sanitari territoriali, delle associazioni e degli enti del terzo settore. Per questo chiediamo al Ministro della Giustizia idonei investimenti in termini di risorse professionali ed economiche nell’area delle misure alternative alla detenzione, con una dotazione organica di assistenti sociali adeguata all’attuale carico di lavoro. E chiediamo alle istituzioni un’attenta valutazione sull’allocazione delle risorse, perché spesso il benessere e la sicurezza dei cittadini non passano da misure repressive o di controllo, bensì da efficaci interventi di prevenzione, che ogni giorno le assistenti e gli assistenti sociali esercitano attraverso il proprio mandato professionale».