Stop all'elettrodotto Dolo-Camin: Veneto a rischio blackout?

Un investimento totale di circa 290 milioni di euro sull’asse idroviario Venezia-Padova, per mettere in sicurezza la capacità di trasporto di energia elettrica in una delle zone italiane a più alta densità industriale, bloccata da una sentenza del Consiglio di Stato: congelato l’elettrodotto da 380.000 Volt Dolo – Camin, un progetto inserito nel piano di sviluppo della rete elettrica nazionale.

L’incertezza delle normative e la perdita d’attrattività di nuovi investimenti

Senza entrare nel dettaglio della pronuncia del Consiglio di Stato, resta in ogni caso un fatto evidente come la normativa italiana in tema di opere pubbliche non riesca a garantire con certezza gli investimenti, con evidenti chiare conseguenze sull’attrattività di nuovi interventi da parte di aziende estere. Nel caso specifico, Terna – con un investimento di circa 290 milioni di euro – intendeva realizzare un elettrodotto aereo da Dolo a Camin e l’interramento delle linee del Vallone Moranzani, con appalti per una cinquantina aziende del territorio. Una serie di comitati dei Comuni interessati dal passaggio dell’elettrodotto hanno sollevato ricorso davanti alla giustizia amministrativa: da qui la sentenza del Consiglio di Stato, che valuta non adeguatamente giustificato il parere positivo del ministero dei Beni culturali sull’impatto dell’opera.

Barel: «rischio autorizzativo anomalo» per gli investitori

«Gli investitori si trovano ad affrontare un rischio autorizzativo anomalo quando operano sul territorio italiano, un rischio che dipende soprattutto dalla normativa sostanziale e procedurale – osserva l’avvocato Bruno Barel, studio legale Barel&Malvestio di Treviso – piuttosto che dal margine di discrezionalità lasciato alla valutazione dei giudici». In primo grado il Tar del Lazio aveva riscontrato la correttezza delle autorizzazioni rilasciate dall’Amministrazione sulla base dello studio progettuale che dimostrava più conveniente l’alternativa dell’elettrodotto aereo con l’adozione di particolari accorgimenti per mitigare l’impatto ambientale dei tralicci. La successiva sentenza del Consiglio di Stato «accentua un “rischio autorizzativo” di ritardo, se non di mancata realizzazione dell’opera, – spiega l’avvocato Guido Barzazi dello Studio Borgna Barzazi di Trieste – al quale l’investitore è soggetto per effetto delle iniziative giurisdizionali di terzi. Un rischio che può essere mitigato – continua l’avv. Barzazi – attraverso una partecipazione al processo decisionale che vuole essere “diretta” e non “mediata” dalla delega conferita alla politica, che spesso non viene riconosciuta come un rappresentante affidabile dell’interesse pubblico».

L’esperienza dei Paesi più vicini: la condivisione preventiva

In altri Paesi le grandi opere trovano una via naturale attraverso un preventivo coinvolgimento di tutti i soggetti interessati con lo scopo di costruire un consenso grazie alla composizione di tutti gli interessi in gioco. «In Italia – evidenzia l’avvocato Barel – abbiamo spezzettato l’interesse generale in tanti piccoli frammenti, e affidato ogni singolo aspetto di interesse pubblico specifico ad una differente autorità. La quale si sente chiamata all’integralismo assoluto nell’esercizio del suo piccolo potere, e libera di disinteressarsi di tutti gli altri interessi, seppure anch’essi pubblici». Nei Paesi più vicini, quali Austria, Germania o Svizzera, «la soluzione è – osserva l’avvocato Barzazi – una sorta di “cogestione” della fase progettuale e realizzativa dell’opera infrastrutturale, che accentua il momento partecipativo del cittadino interessato. Grazie anche all’utilizzo di professionalità poco conosciute come il mediatore ambientale, un soggetto terzo e imparziale che, nel corso del processo decisionale e realizzativo, analizza l’opera e propone soluzioni alternative e misure compensative».

Francia e Regno Unito: parola d’ordine “concertazione pubblica”

Anche in Francia e nel Regno Unito già in fase progettuale delle grandi opere si procede attraverso il preventivo coinvolgimento dell’opinione pubblica. «In Francia – osserva l’avvocato Franco Zambelli, studio Zambelli e Tassetto di Venezia – per i grandi progetti infrastrutturali che implichino un investimento superiore 1,9 milioni di Euro ed abbiano un’incidenza rilevante sull’ambiente o sulla gestione del territorio, è richiesta dal Code de l’Environnement una particolare forma di “concertazione pubblica” preventiva: il “débat public”». A differenza che in Italia si tratta di procedure che permettono di informare e coinvolgere la popolazione su tutti gli aspetti del progetto e di evitare la frammentazione dei soggetti coinvolti nell’iter decisionale. «Nel Regno Unito – continua l’avvocato Zambelli – il Planning Act 2008 per le opere di interesse nazionale impone ai promotori del progetto l’obbligo di avviare una consultazione pubblica ancor prima di presentare la richiesta di autorizzazione. Oltremanica è stato istituito un centro unitario di imputazione delle attività necessarie all’autorizzazione di infrastrutture: la Infrastructure Planning Commission. La decisione di tale ente conferisce ai soggetti richiedenti un titolo generale, riservato ai progetti che soddisfano taluni criteri nazionali, che assorbe ogni altro permesso previsto da discipline settoriali e permette la realizzazione dell’opera».

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