Banche venete, Intesa firma l'acquisto: "Decreto blindato o marcia indietro"
Intesa Sanpaolo ha firmato l’acquisto delle parti “sane” di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca al prezzo simbolico di 1 euro, la mattina di lunedì 26 giugno 2017. Poche ore dopo l’approvazione del decreto legge del governo che ha stanziato 5,2 miliardi di euro pubblici e altri 12 miliardi sotto forma di garanzie.
Ma se quel decreto non verrà convertito in legge, incappando magari in un’imboscata parlamentare che rischierebbe di portare a una crisi di governo, Intesa farà marcia indietro. Nel contratto firmato dai vertici del gruppo torinese con i commissari liquidatori delle venete, infatti, c’è una clausola risolutiva che prevede «l’inefficacia del contratto e la retrocessione alle banche in liquidazione coatta amministrativa del perimetro oggetto di acquisizione» nel caso in cui il decreto non fosse convertito in legge o fosse convertito «con modifiche e/o integrazioni tali da rendere più onerosa per Intesa Sanpaolo» come scrive l’istituto in una nota.
L’acquisto riguarda quelle che sono state definite le “good bank” delle due ex popolari venete. Intesa cioè, seguendo lo schema limato in accordo con i tecnici del Mef e della Commissione europea, ha rilevato «un perimetro segregato che esclude i crediti deteriorati (sofferenze, inadempienze probabili e esposizioni scadute), le obbligazioni subordinate emesse, nonché partecipazioni e altri rapporti giuridici considerati non funzionali all’acquisizione».
Intesa Sanpaolo, nuova struttura guidata da Piccini
Operativamente, per gestire le strutture acquisite, Intesa Sanpaolo ha istituito il 26 giungo una nuova direzione regionale affidata ad interim a Stefano Barrese. La direzione si articola in due unità organizzative cui faranno capo le strutture centrali e territoriali provenienti dalle due banche integrate. Le due unità sono state definite “ex Banca Popolare di Vicenza” ed “ex Veneto Banca” ed affidate a Gabriele Piccini, manager di esperienza di recente nominato amministratore delegato di Banca Nuova.
«La costituzione di una nuova struttura dedicata – si legge in una nota di Intesa – nasce con l’obiettivo di garantire la piena continuità nell’operatività corrente delle attività acquisite dalle due banche venete e di rendere immediata l’integrazione di queste stesse nel Gruppo Intesa Sanpaolo».
Piccoli risparmiatori, fondo da 60 milioni
Per i piccoli risparmiatori che versano in difficoltà economiche ci sarà un fondo di 60 milioni di euro, l’equivalente della somma dei due fondi da 30 milioni ciascuno messi in campo nei mesi scorsi da Veneto Banca e da Banca Popolare di Vicenza. Come si legge nella nota di Intesa «a titolo di ristoro per i piccoli risparmiatori detentori di obbligazioni subordinate emesse dalle due banche, Intesa Sanpaolo stanzierà complessivamente 60 milioni di euro, che includono un importo come proprio intervento in aggiunta alla quota parte prevista del contributo del sistema bancario».
Che cosa compra Intesa Sanpaolo
Il perimetro oggetto di acquisto include attività e passività selezionate di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, nel dettaglio: crediti in bonis diversi da quelli ad alto rischio per circa 26,1 miliardi di euro, attività finanziarie per circa 8,9 miliardi di euro, attività fiscali per circa 1,9 miliardi di euro, debiti verso clientela per circa 25,8 miliardi di euro, obbligazioni senior per circa 11,8 miliardi di euro, raccolta indiretta per circa 23 miliardi di euro, di cui circa 10,4 miliardi di risparmio gestito, circa 900 sportelli in Italia e circa 60 all’estero, inclusa la rete di filiali in Romania, personale per circa 9.960 unità in Italia e circa 880 all’estero.
Inoltre Intesa acquisisce il contributo delle partecipazioni in Banca Apulia S.p.A. e Banca Nuova S.p.A, in SEC Servizi S.c.p.a., in Servizi Bancari S.c.p.a. e, subordinatamente all’ottenimento delle relative autorizzazioni, nelle banche con sede in Moldavia, Croazia e Albania.
Nel perimetro oggetto di acquisto ci sono anche anche «crediti in bonis ad alto rischio per circa 4 miliardi di euro» si legge nella nota di Intesa Sanpaolo, che avrà il diritto di retrocessione «nel caso di rilevazione, nel periodo fino all’approvazione del bilancio al 31 dicembre 2020, dei presupposti per classificarli come sofferenze o inadempienze probabili».
Esuberi per 3.900 persone, 600 filiali da chiudere
Intesa Sanpaolo dettaglia anche la cura dimagrante per Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, con 3.900 esuberi su base volontaria e 600 filiali da chiudere. A far da cornice al tutto sono i contributi dello Stato che dovrebbero permettere di evitare i licenziamenti, come chiesto dai sindacati.
Una parte di contributo pubblico cash, pari a 3,5 miliardi di euro non sottoposti a tassazione, sarà a copertura degli impatti sui coefficienti patrimoniali di Intesa, «tale da determinare un Common Equity Tier 1 ratio phased-in pari al 12,5% rispetto alle attività ponderate per il rischio (RWA) acquistate». Gli indici di patrimonializzazione saranno dunque messi al sicuro grazie allo Stato.
Altri 1,285 miliardi di euro pubblici non sottoposti a tassazione andranno «a copertura degli oneri di integrazione e razionalizzazione connessi all’acquisizione», che riguardano la chiusura di circa 600 filiali e l’applicazione del Fondo di Solidarietà in relazione all’uscita, su base volontaria, di circa 3.900 persone del gruppo risultante dall’acquisizione, nonché altre misure a salvaguardia dei posti di lavoro quali il ricorso alla mobilità territoriale e iniziative di formazione per la riqualificazione delle persone. Il contributo andrà accantonato in un apposito fondo gestito da Intesa.
Vale 1,5 miliardi di euro (dopo le imposte) il pacchetto di garanzie pubbliche che lo Stato impiega per la «sterilizzazione di rischi, obblighi e impegni che coinvolgessero Intesa Sanpaolo per fatti antecedenti la cessione o relativi a cespiti e rapporti non compresi nelle attività e passività trasferite». Inoltre resta fermo che le “bad bank”, cioè BpVi e Veneto banca in liquidazione coatta amministrativa risponderanno del contenzioso pregresso con i vecchi soci.
«Istituire il reato di disastro bancario»
Reazione a due facce quella al decreto legge con cui il governo ha salvato le banche venete e sancito il passaggio delle parti “sane” di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca al gruppo Intesa Sanpaolo. Il sindacato Fabi, il più rappresentativo fra i bancari, è soddisfatto.
«Consideriamo positivo l’intervento del governo perché è riuscito a risolvere un problema che avrebbe avuto pesanti impatti sull’intero settore bancario italiano – il commento del segretario generale Lando Maria Sileoni –. Non ci saranno traumi perché nessun lavoratore perderà il posto di lavoro e tutto sarà gestito attraverso uscite volontarie, un sistema che ha assicurato in questi 10 anni anche un importante ricambio generazionale all’interno dei gruppi bancari italiani». Il segretario Fabi si aspetta «una convocazione da parte di Intesa Sanpaolo per tutelare al meglio i lavoratori delle due banche venete. L’intervento del gruppo guidato da Carlo Messina garantirà stabilità all’intero settore bancario, anche se siamo consapevoli che adesso ci attendono altre due importanti vertenze sindacali nel Gruppo Mps e in Carige».
Per la First Cisl, il segretario generale Giulio Romani chiede che «i manager responsabili della dilapidazione di incommensurabili ricchezze del Paese siano colpiti da azioni di repressione commisurate al danno prodotto: chiediamo al Parlamento di istituire il reato di disastro bancario con specifiche aggravanti previste per i casi di danno al risparmio privato, di danno all’occupazione e di eccesso di retribuzione». La soluzione raggiunta con il decreto e il passaggio a Intesa è comunque giudicata «positiva» da Romani.
I piccoli risparmiatori: non dimenticateci
Patrizio Miatello dell’Associazione Ezzelino III da Onara scrive al premier Gentiloni ricordando i circa 90mila soci delle due banche venete che «sono stati esclusi non hanno accettato la transazione» tombale del 15% del valore perduto delle proprie azioni All’offerta hanno aderito 119mila soci. La richiesta al governo è di «permettere la proroga delle scadenze relative ai casi sociali welfare», di «permettere la transazione individuale o collettiva dei Risparmiatori rimasti fuori dalla prima transazione e di «istituire un Fondo Vittime da reato finanziario di aggiotaggio e ostacolo della vigilanza».
Per il Movimento difesa del cittadino, Matteo Moschini chiede «che il governo istituisca un fondo a garanzia dei risparmiatori traditi e che consenta loro di poter ottenere la restituzione dei risparmi». Infatti con il passaggio delle parti sane delle banche a Intesa e con l’avvio della liquidazione coatta amministrativa per BpVi e Veneto Banca «pare che le possibilità per gli azionisti di ottenere la restituzione dei propri risparmi si azzerino definitivamente» dice Moschini. Da un lato perché cessano le funzioni degli organi assembleari delle due ex popolari, dall’altro perché gli azionisti «parteciperebbero a eventuali riparti degli attivi solo dopo il soddisfacimento di tutti i creditori e solo nell’ipotesi – a dir poco fantascientifica – in cui vi fossero eventuali attivi residui».
Nei mesi passati invece l’Arbitro per le controversie finanziarie istituito presso la Consob nel gennaio 2017 aveva dato ragione più volte ai soci che avevano intentato causa contro le due venete, ricorda il Movimento difesa del cittadino, condannando queste ultime «al risarcimento dei danni subiti da azionisti cui aveva venduto azioni da essa stessa emesse senza averli informati in modo corretto ed esaustivo in ordine alle caratteristiche e ai rischi di dette azioni».