Airbnb in Veneto, quasi 13mila alloggi. Federalberghi chiede regole
I numeri di Airbnb in Veneto stanno crescendo rapidamente. Ad agosto 2016, sul sito per condividere stanze e appartamenti in sharing economy, risultavano disponibili in Veneto 12mila 740 alloggi, di cui 8mila 650 riferiti a interi appartamenti, 9mila 919 disponibili per più di 6 mesi, 8mila 039 gestiti da host che mettono in vendita più di un alloggio. Il portale leader nell’ospitalità “informale” va forte anche in altre città italiane: a Venezia si contano 5mila 166 alloggi, la città lagunare è al quarto posto dopo Roma, che ne ha 23mila 889, Milano con 13mila 200 e Firenze con 6mila 715. Gruppi e famiglie, inoltre, hanno una passione per le montagne altoatesine.
Le proteste di Federalberghi contro Airbnb
La ricetta di Airbnb, però, come è noto risulta indigesta agli albergatori. «Da sharing a shadow economy: nel turismo c’è un sommerso da spavento», così Federalberghi, che ha diffuso i numeri sopra riportati, lamenta il dilagare dell’economia “condivisa” che coinvolge anche il settore dell’ospitalità turistica. «Un esempio eclatante è il portale Airbnb, che in diversi casi include e mostra senza troppi veli le degenerazioni della sharing economy» spiega Marco Michielli, presidente di Federalberghi Veneto e vicepresidente nazionale della Federazione.
Michielli parla di concorrenza sleale: «Punto primo, non è vero che si condivide l’esperienza con il titolare: la maggior parte degli annunci pubblicati su Airbnb si riferisce all’affitto di interi appartamenti, in cui non abita nessuno. Punto secondo, non è vero che si tratta di attività occasionali: la maggior parte degli annunci si riferisce ad appartamenti disponibili per oltre sei mesi all’anno. Punto terzo, non è vero che si tratta di forme integrative del reddito: sono attività economiche a tutti gli effetti, che molto spesso fanno capo ad inserzionisti che gestiscono più alloggi. Quarto e ultimo, non è vero che le nuove formule compensano la mancanza di offerta: gli alloggi presenti su Airbnb sono concentrati soprattutto nelle grandi città e nelle principali località turistiche, dove è maggiore la presenza di esercizi ufficiali».
Le leggi in Italia sulla sharing economy
In Italia non esiste una normativa che regoli efficacemente la sharing economy, benché in marzo sia stata presentata una proposta di legge (la numero 3564, consultabile qui). La proposta di legge firmata da dieci parlamentari – che non si riferisce solo ad Airbnb ma più in generale a qualunque tipo di piattaforma di sharing economy – prevede che gli introiti generati vengano tassati con una aliquota del 10% fino a un massimo di 10mila euro annui (anche sommabili da diversi servizi). Superata la soglia dei 10mila euro, invece, gli introiti sarebbero considerati redditi veri e propri e dunque – fiscalmente – andrebbero sommati agli altri percepiti.
Lo stesso sito Airbnb consiglia di consultare accuratamente le disposizioni in vigore in ogni comune prima di avviare a procedura per diventare host Airbnb. Affittare casa saltuariamente non è considerata un’attività imprenditoriale, quindi non c’è bisogno di licenza o partita Iva. È sufficiente quindi fare la denuncia dei redditi guadagnati tramite Airbnb nel modello 730 o nel modello Unico.
Rebecca Travaglini