Veneto, 23 milioni di voucher in 6 anni

Il dilemma rimane: i voucher sono una spinta al precariato o un mezzo utile per creare (e pagare) lavoro? Sicuramente sono uno strumento in grande ascesa a livello nazionale, con il Veneto ai primi posti per utilizzo. Secondo un’elaborazione dei dati Inps effettuata dalla Cna nel periodo che va dal 2008 al 2014, gli anni della crisi, in Veneto sono stati usati 23,2 milioni di buoni lavoro, cifra seconda in numero assoluto solo alla Lombardia (26,5 milioni). La situazione cambia se si considera il numero di voucher calcolato rispetto alla forza lavoro: in questo caso, in testa alla graduatoria balza il Trentino-Alto Adige con 20,8 “buoni lavoro” a residente tra i 15 e i 65 anni. A seguire, nell’ordine, Friuli-Venezia Giulia (20,6), Veneto (10,4), Marche (9,7), Emilia-Romagna (9,5). La media nazionale e’ di 6,4 voucher per ognuno dei 25.514.924 di italiani in eta’ lavorativa. Sotto questo spartiacque non solo tutte le regioni meridionali ma anche Liguria, Toscana, Lombardia e Lazio.

Voucher: un boom a livello nazionale

Secondo la Cna il numero di voucher, e quindi di ore lavorate, equivale – all’ingrosso – a circa 33mila posti di lavoro a tempo pieno. La Cna parla di una “crescita a razzo” dei voucher: nel 2012 si erano fermati a 23 milioni, 817mila e 325. Nel 2008 erano solo 535mila e 985. Tra il 2008 e il 2014 e’ parecchio mutato il profilo dei “prestatori” via voucher per eta’ e per genere. Nel 2008 quattro su cinque erano maschi con un’eta’ media vicina ai 61 anni. Le donne erano appena piu’ giovani: avevano oltre 56 anni e mezzo. Quasi certamente pensionati. Nel 2014 l’eta’ media si e’ abbattuta, calando a quasi 38 anni per gli uomini e a 34 anni e mezzo per le donne. Nel mercato dei voucher sono entrati i giovani e soprattutto le giovani. L’anno scorso le donne hanno sorpassato gli uomini, arrivando a quasi il 52 per cento del totale. In sei anni sono cresciute 97 volte, gli uomini si sono fermati a 25.
Il commercio, con il 18,2 per cento dei buoni acquistati, e’ il settore che piu’ utilizza i voucher. A seguire i servizi (14 per cento), il turismo (12,3 per cento), le manifestazioni sportive (9,1 per cento), il giardinaggio e le pulizie (7,6 per cento), le attivita’ agricole (7,3 per cento), i lavori domestici (2,6 per cento). C’e’ uno stock, infine, del 28 per cento che l’Inps classifica come “altre attivita'”.

Cos’è il voucher

Si può comprare dal tabaccaio o sul portale dell’Inps: il “buono lavoro” o voucher – spiega il centro studi della Cna – è uno strumento per “comprare” un aiuto per i piccoli lavori, a cui accedono tanto i privati quanto le imprese. Il voucher entra nella normativa italiana con la Riforma Biagi (dal nome del promotore, il giuslavorista Marco, ucciso dalle Brigate Rosse), com’è nota universalmente la legge 30 del 14 febbraio 2003, varata con Roberto Maroni ministro del Lavoro e Maurizio Sacconi sottosegretario incaricato del dossier. Lo scopo era quello di regolamentare il lavoro accessorio (vale a dire le prestazioni occasionali, non riconducibili a contratti di lavoro in quanto svolte in modo saltuario) e tutelare i rapporti non regolamentati. Una profonda innovazione alla Legge Biagi arriva nove anni dopo la sua nascita con la Riforma del Lavoro dell’allora ministro Elsa Fornero. Dal 18 luglio del 2012, quando entra in vigore la legge 92 del 28 giugno 2012, e’ possibile utilizzare i voucher in tutti i settori di attivita’ e per tutte le categorie di prestatori, fatta eccezione per il lavoro agricolo, disciplinato autonomamente.

Infine, il decreto legislativo 81 del 15 giugno scorso, conosciuto come Jobs Act, ha innalzato il limite annuo dei compensi per le prestazioni, ha aumentato le categorie di “prestatori” e imposto l’acquisto del voucher per via telematica. Il voucher che l’imprenditore, o un singolo cittadino, compra a 10 euro – spiega il Centro studi Cna – ha un valore netto, per il lavoratore, di 7,5 euro. Il residuo 25 per cento va per il 13 per cento alla gestione contributiva separata dell’Inps, per il 7 per cento all’Inail e per il 5 per cento sempre all’Inps, ma a titolo di compenso per la gestione del servizio. Il valore del “buono lavoro” corrisponde al compenso minimo di un’ora di prestazione (salvo che nel settore agricolo, dove il calcolo viene effettuato sul contratto di lavoro) e garantisce la copertura previdenziale con l’Inps e l’ombrello assicurativo contro gli infortuni con l’Inail. I “prestatori” che possono accedere al lavoro accessorio sono: pensionati; studenti (giovani sotto i 25 anni regolarmente iscritti a un ciclo di studio) nei periodi di vacanze natalizie, pasquali, estive; cassintegrati e disoccupati; lavoratori part time; extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno che consenta di svolgere attivita’ lavorative e di studio. E, grazie al Jobs Act, anche dipendenti a tempo pieno.
Il Jobs Act, inoltre, ha portato a 7mila euro al netto delle trattenute il limite annuo dei compensi per le prestazioni, lasciando inalterato a 2mila euro il tetto del singolo committente, imprenditore o libero professionista, rispetto allo stesso prestatore

 

 

Ti potrebbe interessare